Gregg Popovich (Photo by Issac Baldizon/NBAE via Getty Images)

David Stern ha inflitto nella giornata di venerdì una multa di 250mila dollari ai San Antonio Spurs, costretti a pagare per la decisione di Gregg Popovich di lasciare a casa i suoi “Big Three”, Tim Duncan, Tony Parker e Manu Ginobili, oltre alla giovane guardia-ala da quintetto Danny Green, in occasione della trasferta di Miami. Una punizione davvero inattesa nelle dimensioni, tanto che solo 5 volte nella storia NBA è stata inflitta una sanzione più pesante. Popovich è certamente una persona che non rifiuta a priori l’idea di provocare e far discutere, né ha paura a prendere le proprie decisioni, anche andando contro il volere popolare. In questo caso, ha cercato di tutelare i migliori interessi della propria squadra, lasciando a riposo quattro degli uomini principali della sua formazione, già priva degli infortunati Stephen Jackson e Kawhi Leonard, per tutelarli di fronte ad un calendario estremamente intenso che avrebbe proposto sul campo degli Heat la quarta sfida in cinque sere e l’ultima di sei trasferte ad est in un tour di otto giorni.

Considerando una combinazione di età anagrafica, precedenti di infortuni e affaticamento accumulato in questa fase, Popovich ha rimandato i quattro a San Antonio con un giorno di anticipo. Anche per averli più pronti per la sfida interna contro Memphis, decisamente di importanza maggiore, quantomeno nell’immediato, perché contro un’avversaria non solo della stessa conference ma prima ancora della stessa division, la Southwest. “Penso che sarebbe stato poco saggio schierarli in quella situazione – ha dichiarato Popovich – Abbiamo cercato di prendere la decisione migliore, anche se non la più popolare, per consentirci di reggere nella sfida con i Grizzlies. Storicamente, dopo un lungo tour di trasferte, la prima partita al ritorno a casa è la più insidiosa”. Ne ha ottenuto una grande prova e la vittoria contro la squadra forse più in forma della NBA in questo momento e una notevole dimostrazione di attaccamento dei giocatori nei suoi confronti: “Volevo essere super aggressivo e vincere la partita – ha detto ParkerCoach Pop mi ha sempre protetto ed ho sempre apprezzato molto quello che ha fatto per la mia carriera”. Popovich non ha parlato dell’intenzione di fare ricorso, ma non ha escluso di ripetere la stessa scelta in futuro e si è detto “deluso” per la multa, arrivata perché Stern lo ha ritenuto colpevole di una violazione di una clausola contenuta nel manuale delle operazioni della lega, rivisto dalla riunione dei proprietari nel 2010, che impedisce di tenere a riposo i giocatori in un modo che possa danneggiare i migliori interessi della NBA.

E questi interessi sono prima di tutto economici e di immagine, perché la NBA non è soltanto il campionato di basket più famoso del mondo, ma anche una macchina che muove montagne di dollari, non è solo sport, è anche intrattenimento e spettacolo per i tifosi sparsi in tutti gli Stati Uniti e in giro per il mondo. Questo è uno degli aspetti che genera verso le squadre un attaccamento meno viscerale di quanto accade con le formazioni del college basket. Ma la NBA è un prodotto internazionale, che va al di là del concetto di pallacanestro, praticamente senza eguali. Grande merito in questa crescita esponenziale è da attribuire ovviamente alla gestione ormai trentennale di David Stern, che con questa mossa ha cercato di difendere il proprio “giocattolo”: “La sanzione – ha dichiarato in un comunicato – è stata decisa in base ai fatti. Gli Spurs hanno deciso di rendere indisponibili quattro dei loro migliori giocatori per una partita di inizio campionato, che era poi la loro unica visita stagionale a Miami. In più l’hanno fatto senza informare gli Heat, i media o la lega in modo tempestivo. In virtù di tutto questo ho concluso che abbiano procurato un danno alla NBA e ai nostri tifosi”.

David Stern

Ma il provvedimento ha fatto davvero discutere. Certamente ha sorpreso, perché i precedenti non mancano ma sono praticamente tutti collocati nelle fasi finali della regular season, in partite o momenti meno determinanti per una classifica spesso già delineata, e ben difficilmente hanno coinvolto così tanti giocatori importanti contemporaneamente. I detrattori di Stern hanno colto l’occasione per tornare a parlare di una gestione “totalitaria” che avrebbe addirittura imbarazzato chi lo affianca negli uffici dell’Olympic Tower ed è pure riemersa quella sorta di differenza di culture sportive che, più o meno velatamente,  si è palesata in diversi momenti negli ultimi anni tra la NBA e i San Antonio Spurs, ritenuti troppo poco vendibili sul mercato televisivo, poco attraenti per le masse e gli sponsor, rispetto a mercati più grandi come Los Angeles, New York, Chicago o Miami, ma allo stesso tempo impostati secondo regole di preparazione sportiva rigidissima e tali da offrire una continuità di rendimento rarissima da trovare. Infatti, anche se già più volte sembrava che questo ciclo fosse arrivato al canto del cigno, ci ritroviamo ancora a parlare degli “speroni” texani come di una splendida protagonista della stagione in corso.

Popovich, appoggiato nella propria decisione da moltissimi addetti ai lavori, tra cui il collega Doc Rivers e LeBron James protagonista sull’altro fronte della partita “incriminata” (mentre Mark Cuban ha condiviso la multa, ma ha definito “una cavolata” della NBA la scelta di trasmettere sulla TNT l’ultima partita del tour ad est degli Spurs), è un allenatore molto esigente, ma non ama particolarmente togliere spazio e visibilità ai propri giocatori, anche se di certo non ha paura di prendersi responsabilità, lo ha fatto anche l’altra sera. Ma, con la prevista diretta televisiva nazionale, Stern ha inteso forse che volesse danneggiare l’immagine della “sua” lega. Già, forse in questo caso un po’ troppo “sua”, in virtù di un ragionamento che ha trascurato l’andamento della partita, equilibrata fino in fondo, con gli Spurs che l’hanno persa, solo di 5 punti, non di 20 o 30, ma hanno anche avuto l’occasione di vincerla. Ed hanno operato nell’ambito dei loro migliori interessi, ma non solo, perché un eventuale infortunio avrebbe voluto dire perdere facilmente un giocatore per almeno una decina di partite, e questo sarebbe stato un danno più consistente anche per la stessa NBA. Certo, si potrebbe ricordare che i giocatori sono strapagati anche per affrontare e gestire questo tipo di situazioni, in ogni caso gli Spurs non hanno voluto danneggiare l’immagine della lega – davvero difficile credere che fosse questo l’obiettivo – ma hanno sicuramente rinforzato la loro, perché con la cultura che regna a San Antonio – e che tanto seguito ha generato nelle altre franchigie – le partite si giocano e si giocano sempre al massimo. Tanto da rischiare di vincere, senza quattro terminali di alto livello, sul campo dei campioni in carica.