Nonostante James abbia segnato 32 punti, Michael Kidd-Gilchrist non ha affatto sfigurato.

Una sola partita di playoff in programma per la Eastern Conference, con gara 2 tra Miami Heat e Charlotte Bobcats che, in un inizio di postseason piena zeppa di sorprese, ha seguito i favori del pronostico con la vittoria della franchigia della Florida.

Miami nel corso della gara ha avuto più volte la possibilità di chiudere i conti ma non è mai riuscita a affondare il colpo decisivo, per meriti altrui e per demeriti propri, con alcuni momenti di scarsa lucidità da ambo i lati del campo.

I Bobcats, mai domi, non hanno affatto sfigurato, hanno messo in difficoltà gli Heat nel secondo tempo, ma non sono riusciti a centrare la loro prima e storica vittoria ai playoffs della loro giovane storia a causa della freddezza di LeBron James ai tiri liberi e una palla recuperata da Dwyane Wade nei secondi finali.

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Chris Bosh. Che il lungo ex Raptors sia l’ago della bilancia dei Miami Heat e l’arma tattica per eccellenza di quadra squadra non lo scopriamo certo oggi. Il suo 8/10 al tiro corroborato da un preziosissimo 4/5 da tre punti è stato decisivo nel respingere le velleità dei Bobcats, piazzare canestri che hanno aperto parziali positivi e far pagare a coach Steve Clifford la necessità di tenere in campo, con una mobilità laterale compromessa a causa dei problemi fisici a un piede, un Al Jefferson restio a uscire sul perimetro.

Michael Kidd-Gilchrist. LeBron James è un cliente scomodo, difficilmente arginabile, specialmente se prende fiducia al tiro ma il lavoro svolto da Michael Kidd-Gilchrist in difesa è stato prezioso, ed ha costretto il prescelto ad alcune scelte azzardate che si sono ripercosse sull’inerzia della gara che i Bobcats hanno saputo ribaltare diverse volte nel corso dei 48 minuti. In aggiunta a ciò, una della migliori prestazioni offensive in carriera del sophomore, che lottando sui palloni vaganti, andando a rimbalzo d’attacco e piazzando alcuni jumpshot (non propriamente il suo marchio di fabbrica) ha chiuso la partita a quota 22 punti con 9/13 al tiro e 10 rimbalzi catturati.

Heat padroni dell’area colorata. I Miami Heat non sono stati affatto continui nel corso dei 48 minuti, ma in una cosa sono stati eccellenti: hanno concesso la miseria del 35% al tiro nei pressi del ferro ai Bobcats. Una delle caratteristiche della difesa Heat è appunto la capacità di riempire l’area mandando gli esterni ad aiutare i lunghi sotto le plance. E se a inizio partita i Bobcats hanno sbagliato degli autentici rigori da sotto canestro, nel corso della partita la difesa Heat ha preso possesso del centro area facendo sudare le proverbiali sette camice a Charlotte per mettere punti a referto nelle vicinanze del canestro.

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I blackout degli Heat. Da metà primo periodo fino alla fine i Miami Heat hanno condotto nel punteggio anche con margini significativi di 16, 15 e 14 punti, ma dopo momenti di esaltazione dovuti all’aggressività difensiva che ha favorito triple in transizione o canestri facili, con la partita pronta per essere chiusa, i padroni di casa sono incappati in autentici blackout, da ambo i lati del campo, che i Bobcats d’altro canto hanno saputo sfruttare alla perfezione per non perdere la presa su una gara che rischiava di essere chiusa alla fine del primo tempo. LeBron James e soci hanno dilapidato per 4 volte un vantaggio in doppia cifra, attaccando con sufficienza – troppe volte schierata – una delle migliori difese NBA dell’ultima stagione, risparmiandosi dietro per contenere lo sforzo fino quasi a compromettere la vittoria, quando a 11 secondi dalla fine la tripla realizzata da Kemba Walker ha portato a 1 solo punto di svantaggio i Bobcats.

La second unit dei Bobcats. I Bobcats hanno una squadra giovane e inesperta nei propri uomini chiave e a stagione in corso la dirigenza ha mosso alcune pedine sul mercato per acquistare maggiore esperienza portando a Charlotte Gary Neal e Luke Ridnour, navigati veterani maggiormente avvezzi alle battaglie dei playoff. In gara 2 però Gary Neal è stato autore del peggior plus/minus dei suoi, con un eloquente -17, soli 3 punti segnati e 8 tiri tentati, mentre Ridnour è stato impiegato in tutto 3 minuti. Steve Clifford nel secondo tempo ha fatto alzare dalla panchina per soli 3 minuti il primo, lasciando seduto il secondo, preferendo puntare sulla spregiudicatezza dei suoi giovani rampanti che a momenti sfioravano il colpaccio.

Ray Allen. In due partite l’ex Celtics ha segnato la miseria di 2 punti. Non riesce a ritagliarsi i suoi consueti spazi per alzarsi al tiro da fuori ed è costretto a mettere palla a terra troppo spesso dalla difesa dei Bobcats. Le sue 3 palle perse a fronte di soli 30 palloni toccati sono un enormità che nell’economia di gioco degli Heat sono un lusso che non sempre può essere concesso. Di buono c’è che si è fatto sentire a rimbalzo, e con lui in campo comunque sono arrivati alcuni parziali positivi, ma per gli Heat c’è bisogno del miglior Ray Allen da qui in avanti per chiudere in fretta la pratica Bobcats.