Tony Allen (Photo Troy Taormina, USA Today Sports)

Tony Allen (Photo Troy Taormina, USA Today Sports)

Bilanci? Previsioni? Supposizioni derivanti da quanto ha fatto vedere la Regular Season? Inutile scervellarsi, i Playoffs edizione 2014 continuano a regalare sorprese sera dopo sera. Non si fa in tempo a capacitarsi di quanto stia diventando impervia la strada per i Rockets (per non parlare degli Spurs…), che Memphis regala l’ennesima sorpresa, in una Western Conference assai difficile da pronosticare. L’entusiasmo conseguito dal colpaccio in Gara 2, ha evidentemente rinvigorito Randolph e compagni, capaci di avere la meglio all’overtime su una Oklahoma che, quando la temperatura sale e le gare diventano decisive, continua a lasciare più perplessi che persuasi. Nella serie potenzialmente più tesa e spettacolare invece, Los Angeles ha “riguadagnato” il vantaggio del campo, espugnando Oakland anche grazie ad un fallo su tiro da tre da metà campo di Paul che, francamente, ci è parso quantomeno discutibile. Chissà che le polemiche arbitrali dopo il mancato fischio sullo stesso CP3 nel finale di Gara 1 abbiano inconsciamente influito in qualche misura.

UPS

Griffin. Sarà sporco, sarà poco amato dagli avversari, però è giusto sottolineare quanto sia maturato durante l’anno. Leader, con rinnovati movimenti in attacco, è ormai l’opzione offensiva principale in casa Clippers, e non solo per la risaputa abilità a schiacciare. Nella gara di stanotte ha chiuso con 32 punti (15/25 dal campo) e 8 rimbalzi, il tutto senza mai replicare alle provocazioni di Green. Dopo la prestazione monstre in Gara 2, un’altra grande partita.

Jordan. Non è un fenomeno certo, non ha neanche una buona padronanza dei fondamentali. Per continuità di rendimento, però, è uno dei migliori nella serie contro i Warriors. Se in Gara 3 chiude poi con 14 punti e 22 rimbalzi, c’è anche poco di cui discutere.

Allen. Premiamo la guardia ex Celtics, dovremmo però sottolineare le buone prestazioni di tutti i Grizzlies. Eppure, Allen (16 punti e 9 rimbalzi contro i Thunder), riteniamo sia uno dei segreti meglio nascosti (sia in attacco e soprattutto in difesa) di una squadra capace di far soffrire non poco la seconda forza della Conference.

 

DOWNS

Curry. Ma come, direte voi. 16 punti e 15 assist non bastano? No, se Golden State vuole passare il turno. Vero è che stava per far vincere i suoi con le triple della speranza ad un minuto dalla fine. Vero anche, però, che nelle ultime due partite ci è parso meno dominante rispetto, ad esempio, allo scorso anno, quando di questi tempi faceva letteralmente ammattire prima i Nuggets e poi gli Spurs.

Green. Vedere giocatori che cercano, in ogni modo, di provocare i diretti avversari è, francamente, un aspetto del gioco di pessimo gusto. Green, fin da Gara 1, cerca di provocare Griffin appena gli si presenta l’occasione, con esiti, tra l’altro, rivedibili. D’accordo che l’ala dei Clippers non è certo un santo, ma sarebbe ora che la NBA mettesse un freno deciso a certi comportamenti premeditati, che poco hanno a che fare con l’aspetto tecnico del gioco.

Panchina Thunder. Non deve essere bello, per coach Brooks, voltarsi verso la propria panchina, chiamare qualche cambio, rinunciare per diversi minuti ai propri titolari e vedere la barca affondare. Nella sconfitta di stanotte, i rincalzi hanno deluso. Butler ha chiuso con 0/5 in 22 minuti, Jackson con 2/9 al tiro, Collison non ha dato il consueto contributo. Durant e Westbrook, da soli, non possono fare miracoli.