Vince Carter e l'esultanza dei Mavs dopo l'incredibile tripla all'ultimo secondo contro San Antonio (Kevin Jairaj-USA TODAY Sports)

Vince Carter e l’esultanza dei Mavs dopo l’incredibile tripla all’ultimo secondo contro San Antonio (Kevin Jairaj-USA TODAY Sports)

La stagione. Per la franchigia texana la stagione 2013/2014 è stata, sotto molti punti di vista, atipica. Iniziata con più di qualche perplessità per l’arrivo di Monta Ellis, secondo molti addetti ai lavori troppo accentratore e troppo poco carismatico per poter interpretare al meglio il ruolo di spalla di Nowitzki, e conclusasi con una sconfitta cocente (ma onorevole) nel derby contro San Antonio al primo turno dei playoffs. Le ragioni del pessimismo diffuso di fine 2013 sono state ad una ad una smentite dalle performance sul campo o, in alternativa, affrontate con estrema sagacia tattica da parte di coach Carlisle. E così ecco che Vince Carter – da giocatore “finito” come veniva definito – ha saputo re-interpretarsi per diventare un sesto uomo con una notevole capacità di influenzare le gara dalla panchina, una guardia incontrollabile e indisciplinata come Ellis si è trasformata in un signor attaccante in grado di capire quando prendersi la squadra sulle spalle e, in generale, una formazione mediamente anziana, con contratti poco invidiabili (vedi Calderon) e con relativamente pochi stimoli si è rivelata l’avversario più ostico incontrato da quella meravigliosa macchina da pallacanestro che sono stati gli Spurs durante la post-season. L’orgoglio più grande per i giocatori di Dallas rimarrà, quasi sicuramente, quello di non aver ceduto nel corso di un drammatico rush finale per l’ottava piazza ad Ovest, conquistata ai danni di un’ottima formazione come i Suns dell’ultima annata, in virtù di un record di 49-33.

MVP. Non assegnare la palma di miglior interprete a Dirk Nowitzki quando si parla di questa squadra potrebbe parere un’eresia. Soprattutto se si considerano le prestazioni del tedesco nella stagione appena conclusa con cifre che testimoniano la sua centralità all’interno della realtà texana e che, peraltro, non sono in grado di descrivere la sua importanza a livello caratteriale e di leadership.

Monta-Ellis-Dallas-Mavericks

Monta Ellis

Ciononostante, prendendo anche atto delle premesse di inizio stagione, il giocatore chiave dell’anno per i Mavs è probabilmente stato Monta Ellis, che a 29 anni pare aver finalmente raggiunto quella solidità mentale fondamentale per diventare un giocatore, oltre che talentuoso, decisivo. L’ex Milwaukee è riuscito a inserirsi in un sistema di gioco nel quale ha dovuto accettare un ruolo diverso da quello di primo violino, limitando le forzature in attacco e giocando più al servizio dei compagni. Come se non bastasse, il numero 11 ha trovato anche il modo di rendersi prezioso in cabina di regia, in quelle situazioni in cui Calderon era seduto in panchina e a lui veniva richiesto di far girare la squadra. I numeri confermano la solidità delle prestazioni della guardia del Mississippi: per lui 19 punti di media col 45% dal campo (57% da due punti), 5,7 assist e 1,7 palle rubate. Non entusiasmante il numero di palloni persi mediamente a partita (3,2) ma comunque giustificabile se si considerano tutti i possessi gestiti e la ratio assist/palle perse, che recita un buon 180%.

La sorpresa. Molti sono stati i giocatori che hanno ben impressionato, quantomeno più di quanto fosse lecito aspettarsi, in casa Dallas. Su tutti, per il grande apporto fornito nel finale di stagione e durante i playoffs, scegliamo di premiare Brandan Wright. Giocatore che ha acquisito una sua dimensione, ala dal buon fisico, in grado di esaltare il pubblico con giocate spettacolari ma anche di garantire sostanza quando necessario. Partendo pressochè sempre dalla panchina, l’ex New Jersey ha raccolto cifre più che buone: 9.2 punti a partita, con 4.5 rimbalzi e una stoppata in 18′ di impiego. Apporto importante, specialmente considerato l’attuale reparto lunghi di Dallas, privo di giocatori con un simile fisico e atletismo.

La delusione. Un nome su tutti: Samuel Dalembert. Calderon non ha convinto particolarmente, ma grazie al supporto delle statistiche si intuisce come la sua stagione non sia stata malvagia. Per quanto riguarda l’esperto centro (anche lui proveniente da Milwaukee), annata sicuramente al di sotto delle aspettative: con 20.5 minuti di media a partita è stato nei fatti il “5” titolare dei Mavs, ma il suo impatto si è rivelato molto ridotto. Sia in attacco, che non è comunque mai stata la specialità dell’haitiano, sia in difesa, dove invece ha dimostrato in altri contesti di poter essere dominante quando c’è da proteggere il pitturato. Poco più di una stoppata di media a partita, condita da 7 rimbalzi e 6,5 punti e la netta impressione che la fisicità dei bei tempi sia ormai un lontano ricordo per l’ex Bucks: queste le indicazioni avute dalle 80 partite in cui Dalembert è sceso in campo nella passata stagione. Oltre alla conferma che non può essere lui il centro titolare di una squadra che ambisce a lottare durante la post season per un traguardo importante.

Shawn Marion (AP Photo/LM Otero)

Shawn Marion

Prospettive future. Confermato coach Carlisle, e come potrebbe essere altrimenti dopo i playoffs, le situazioni più intricate riguardano i contratti dei veterani in casa Mavericks. Se Nowitzki non avrà problemi a trovare l’accordo per prolungare il proprio contratto, consacrandosi come una delle più grandi bandiere della storia dei texani, i casi di Marion e Carter sono di più difficile lettura. Entrambi vengono da una buona annata, specialmente Carter, che ha dimostrato di poter essere ancora utile, se non addirittura decisivo, per la causa della propria squadra. Per ambedue i giocatori la valutazione verterà principalmente sulle garanzie fisiche, mentre per il solo Marion una riduzione delle pretese economiche (rispetto ai 9.3 milioni percepiti nell’ultimo anno) sarà imprescindibile. Poche le gatte da pelare oltre a questi spinosi casi: Harris e Blair, per caratteristiche ma anche numeri alla mano, non sono pedine insostituibili nello scacchiere di una franchigia.

L’impressione è che, giustamente, si penserà prima di tutto a rinnovare il contratto a Nowitkzi. Una volta stipulato un nuovo accordo col tedesco, Dallas si butterà a capofitto nel succulento mercato dei free-agent, con uno spazio salariale che garantirà una discreta libertà di movimenti. Priorità massima ad alcuni, semplici obiettivi: abbassare l’età media, migliorare il reparto lunghi e assicurarsi qualche giocatore in grado di garantire un buon livello di difesa perimetrale. Per i prossimi due mesi la spicchiata passa quindi a Gm e dirigenza: se questi dovessero svolgere un buon lavoro, attenzione a quello che sarà in grado di dire Dallas l’anno prossimo.