Si dice in giro che i Miami Heat siano una squadra in calo, demotivata e non più affamata di vittorie come le scorse stagioni. In parte è vero: vincere due titoli consecutivi è appagante, toglie pressione e permette di rilassarsi, anche oltre il dovuto.

Nonostante vi sia la percezione di qualcosa che non va nel verso giusto, per il terzo anno in fila i Miami Heat arrivano alla 53° partita stagionale con il medesimo record, che è di 39 vittorie e 14 sconfitte. La cosa veramente interessante è che, nella corsa al threepeat (riuscito solo 6 volte nella storia nella NBA), i Miami Heat, arrivati a questo punto della stagione, hanno il record più alto di sempre: nella stagione ’97/98 i Bulls furono 38-15, i Los Angeles Lakers della stagione ’01/02, i Minneapolis Lakers della stagione ’53/54, i Boston Celtics della stagione ’60/61 (il terzo di otto titoli consecutivi) furono tutti “fermi” a un 37-16, infine i Bulls della stagione ’92/93 ebbero un bilancio di 36-17.

Il fatto è che Indiana Pacers e Oklahoma City Thunder viaggiano a vele spiegate verso la testa delle rispettive conference, ed oggi hanno ridotto, se non completamente colmato, il gap che li dividevano dai bicampioni NBA in carica. Thunder e Pacers sono al momento le due migliori squadre della lega: lo dice il record di vittoria, lo dicono le statistiche avanzate e non, che vedono le due franchigie posizionarsi ai piani alti di quasi tutti gli indici.

Gli scorsi anni gli Heat dovevano zittire scettici e detrattori che ad ogni sconfitta tornavano a puntare il dito verso uno o più aspetti negativi di James & soci. Oggi gli Heat non fanno più notizia quando perdono e possono permettersi qualche passo falso in più rispetto a prima nell’ottica del maggior risparmio possibile di energie per quando la palla scotterà sul serio a primavera. E’ in questo mese di febbraio che gli Heat hanno iniziato a scaldare i motori, con un record di 8-1 e 6 vittorie nel tour di 7 trasferte ad ovest a cavallo dell’All Star Game di New Orleans, dopo un paio di mesi di alti e bassi.

L’attacco va a gonfie vele

I Miami Heat sono il miglior attacco della Eastern Conference – unica squadra della costa est che figuri tra le prime 11 franchigie totali nei punti di media segnati a gara – con 104.1 punti messi a referto ogni partita e guidano l’intera lega per percentuale dal campo con il 50,8% al tiro.

Non è un segreto che il propellente dell’attacco più efficace della lega sia il terzetto di star composto da LeBron James, Dwyane Wade e Chris Bosh, cuore pulsante del sistema di gioco offensivo che coach Erik Spoelstra ha modellato attorno alle loro caratteristiche. I Big Three oltre a segnare con un efficienza mai vista prima – tutti al massimo in carriera per percentuale dal campo – catalizzano la attenzioni delle difese e permettono di esaltare le caratteristiche del cast di supporto.

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La Shoot Chart del 2013

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La Shoot Chart del 2014

I Miami Heat sono infatti la squadra che tira meglio i cosidetti “corner threes”, i tiri da tre dagli angoli che sono un punto nevralgico del campo per avere la meglio su difese sempre maggiormente organizzate, che realizzano con il 44,7% totale. Nonostante il calo di Shane Battier, uno dei migliori intrerpreti del catch & shoot dagli angoli degli ultimi anni, Miami tira meglio che nella scorsa stagione. Il merito sembra essere di Mario Chalmers, che è il terzo miglior tiratore della NBA da quelle zone del campo, con il suo 54% che lo posiziona appena al di sotto di Paul George (56%) e Arron Afflalo (55%).

Gli Heat guidano la lega anche nella percentuale di tiro in vernice e per percentuale di tiro nella restricted area, 69%, con LeBron James a mettere in riga tutti con un fantascientifico 79,1% al tiro.

Da fuori area gli Heat segnano con costanza, il loro 42,1% (5° assoluti nella lega) lo testimonia, con Bosh che si posiziona al quarto posto tra i big men NBA, dietro a Dirk Nowiztki, Serge Ibaka e Al Horford per percentuale dal campo tra i 5 e i 7 metri di distanza con il suo 45,8% al tiro piazzato. Male, molto male, invece al tiro da tre centrale, peggiorato di 6 punti percentuali rispetto lo scorso anno ovvero dal 37% del 2013 al 31% di questa stagione.

Rispetto ad un anno fa sono cambiate alcune “comfort zone”: oggi Miami tira peggio che in passato i cosiddetti “long two”, i tiri presi tra il midrange e la riga di tiro da tre, ma sono estremamente migliorati in quelle aree che prevedono la presenza di un giocatore di post basso. Il merito è senza dubbio di LeBron James che, dopo aver appreso i trucchi del mestiere da Hakeem Olajuwon due estati fa, oggi va spalle a canestro come mai in carriera per massimizzare quella combinazione di particolarità fisiche e tecniche che nella storia del gioco in pochi hanno avuto modo di sfoggiare.

La Shoot Chart di LeBron James

La Shoot Chart di LeBron James

LeBron è il primo esterno della lega in percentuale dal campo effettiva grazie al suo 61,3% che lo distanzia dal nostro Marco Belinelli (59%, secondo esterno dietro James, sesto in totale) e la sua capacità di avvicinarsi a canestro è il fattore determinante di questo indice di efficienza al tiro.

La vera svolta nel gioco offensivo di Miami è però data dalla redistribuzione della responsabilità: gli Heat vengono identificati come i Big Three ed una schiera di role player a svolgere il compitino, ma oggi più che mai, l’impatto delle seconde linee ha permesso una qualità di gioco migliore come dimostra l’incremento della media punti rispetto allo scorso anno – da 102,9 a 104,1 – e della percentuale dal campo – dal 49,6% al 50,8% – con il trio James/Wade/Bosh che tira mediamente meno rispetto a 12 mesi fa (Wade è passato dai 21,2 punti di media con 16 tiri presi a gara a 18,8 punti di media i meno di 14 tiri) in favore di un incremento delle responsabilità di Chalmers +1,2 punti a partita, Cole +1,8 punti a partita, Andersen +1,7 punti a partita.

I nomi sopracitati non sono affatto un caso. Nella disperata ricerca di soluzioni extra oltre a quelle già esplorate Erik Spoelstra in questa regular season sta sperimentando quintetti e situazioni particolari.

Negli ultimi tempi, per questioni difensive, ma soprattutto per non subire troppo a rimbalzo il coach di origini filippine ha schierato sovente la coppia di big men composta da Bosh e Andersen. Lo scorso anno i due, secondo i dati di nba.com totalizzarono assieme 60 minuti in 12 partite complessive in cui fatturarono un plus/minus di -7,2, concedendo il 44% al tiro agli avversari e contribuendo a far segnare a Miami 86,2 punti a gara il tutto parametrato sui 48 minuti. Quest’anno la combo Bosh/Andersen è stata schierata assieme in campo per 233 minuti nell’arco di 26 gare contribuendo a un plus/minus di 17,3 punti, con benefici difensivi evidenti (con loro in campo gli avversari tirano con il 39% dal campo).

Oggi nei finali di partita Spoelstra non ha paura ad andare contro i suoi principi – togliere un tiratore e giocare con due lunghi veri – senza che le spaziature offensive ne risentano. In ottica finali di Conference, con lo spauracchio Pacers delle torri Hibbert/West, potrebbe essere un fattore determinante.

Costretti a fare a meno di Wade per 15 gare in questa stagione e con la previsione di farlo riposare nei back to back, con un Ray Allen dal fisico sempre statuario, ma pur sempre 39enne e da centellinare, l’altro esperimento di Spoelstra riguarda il doppio playmaker in campo.

Mario Chalmers e Norris Cole finora hanno giocato assieme, specialmente nel finale di 2° quarto, 3° quarto e talvolta inizio di 4° periodo 269 minuti in 39 gare in cui, rapportato sui canonici 48 minuti, offrono un plus/minus di +7,8 a cui aggiungono 11,1 recuperi di media grazie alla loro velocità di mani e l’importanza che rivestono nel tipo di difesa aggressiva sulle linee di passaggio, marchio di fabbrica degli Heat. Lo scorso anno i due giocarono assieme in tutto appena 45 minuti distribuiti in 17 gare, facendo incuriosire l’head coach con cifre di +9,6 di plus/minus e il 35,8% al tiro concesso in loro presenza simultanea in campo.

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Il calo degli Heat è difensivo

La difesa degli Heat è difficilmente quantificabile con i numeri. Il loro sistema difensivo prevede raddoppi e trappole nei pick & roll, rotazioni forsennate per chiudere gli spazi e costringere gli avversari a disfarsi del pallone giocando sulle linee di passaggio. E’ una difesa che fa di necessità virtù vista la mancanza di un big man intimidatore a centro area. Non a caso gli Heat sono primi nella lega anche per punti segnati da palla persa con 19,6 a partita, conseguenza diretta dei 17,2 palloni che riescono far perdere agli avversari, anche in questo primi nella lega.

I numeri che condannano la franchigia della Florida sono i 36,3 rimbalzi presi a gara che posizionano gli Heat all’ultimo posto nella lega, la percentuale dal campo concesso in vernice (ultimi con il 43,3% concesso) e la percentuale concessi nei corner threes (anche qui ultimi con il 43,6% concesso).

Spaziarsi bene in attacco e far circolare con costrutto la palla contro gli Heat è un presupposto indispensabile per batterli. Muovere la difesa significa avere anche un posizionamento migliore a rimbalzo e secondo le statistiche di SportVu gli Heat sono penultimi nella lega, davanti solo ai Lakers, per chance di rimbalzo catturati, evidenziando un disastroso indice del 47,5% con il solo Chris Andersen capace di entrare in top 25 nella speciale graduatoria di percentuale di rimbalzi catturati in traffico, con un 42,9% di successo. Andersen è anche il miglior rim protector degli Heat, 15° assoluto nella lega per percentuale al tiro concessa nei dintorni del canestro in sua presenza, con il 47,2%.

Viceversa, se le rotazioni difensive non lo portano lontano da canestro e se Bosh, Battier e Andersen riescono nel loro compito di dare l’adeguata copertura sotto canestro con tagliafuori o altri trucchetto del mestiere, LeBron James dà una grossa mano a rimbalzo, con il suo 73,3% di rimbalzi (2° dietro a Durant) presi sul totale dei rimbalzi che cadono nei suoi pressi, anche se solo 1,7 a partita di essi sono contestati, sempre secondo i dati di SportVu.

NBAStats

Nelle ultime settimane, con un Greg Oden in più nel motore, Spoelstra ha messo mano anche alla strategia difensiva di squadra. Gli Heat oggi stanno sviluppando un sistema difensivo più convenzionale che in passato, per ridurre al minimo i tiri aperti sul perimetro, indirizzando il portatore di palla e centro area dove sia Oden che Andersen, sui 100 possessi rifilano oltre le 3 stoppate a partita, ben al di sopra della media nella lega.