Ho guardato poco fa quando ho scritto l’ultimo pezzo e ho scoperto con raccapriccio che è stato più di un mese fa. Devo confessare che la cosa mi ha sconvolto, in quanto mi pareva che fosse ieri. Il tempo è veramente volato, cosa che alla mia età è ancora più inquietante. Almeno avessi avuto tanto da fare, ma per la maggior parte di questo tempo sono stato tranquillamente a casa. In realtà qualcosa ho fatto: ho scritto altri tre capitoli del mio nuovo libro arrivando con la storia della nostra redazione fino agli inizi degli anni ’80 e reputo quindi di essere circa a metà lavoro. Devo dire anche che mi sono divertito a scrivere e penso che il passaggio sugli inizi del nostro studio off con le pantigane sepolte (episodio che avete sicuramente sentito se avete ascoltato l’intervista che mi ha fatto Martina Napolitano) sia anche ben riuscito.

Dalla lunghezza della mia assenza ho dedotto che sarebbe anche ora di scrivere qualcosa, sempre sperando che possa essere postato, visto che, come avevamo anticipato con Tommaso, ci sono problemi con il sito e, sembra, attualmente qualcosa non funziona come dovrebbe. Da quanto mi ha detto il mio Administrator non è detto che si possano postare commenti, ma almeno il mio pezzo dovrebbe essere disponibile per la lettura. Speriamo bene. Ripeto, se c’è qualcuno di voi ingegneri e esperti informatici che sa risolvere il problema, si faccia per favore avanti.

La vera ragione per la quale però non ho sentito alcun dovere di scrivere è perché onestamente non sapevo di cosa parlare. Come più volte detto e ribadito il basket odierno non mi piace più e dunque lo guardo a spizzichi e bocconi sperando sempre di vedere qualche scorcio di vero basket che mi riconcili con il nostro amato gioco. Ovviamente il riferimento è l’Eurolega, unico palcoscenico sul quale si possa vedere qualcosa di interessante e stimolante dal punto di vista tecnico e in effetti qualcosa si è visto. Intanto complimenti a Luca Banchi che su una piazza difficile (e presuntuosa, cosa pericolosissima soprattutto adesso che l’opinione pubblica, soprattutto dei giovani, è sempre più traviata dal fallimentare approccio tecnico al basket dell’attuale NBA, e dunque propugna un basket decadente o meglio un non basket tout court) ha saputo mettere molte cose a posto applicando alla squadra l’unico metodo che possa funzionare, e cioè quello di far fare ai propri giocatori le cose che sanno fare e non quelle che non sanno farle, ma soprattutto li mette in campo con la giusta percezione di quello che si attende da loro. Sono così contento anche del fatto che per esempio Šengelija, giocatore che mi è sempre parso forte ancora dai tempi di Vitoria, ma che i fini conoscitori bolognesi hanno sempre sottovalutato, una volta impiegato per quello che dovrebbe sempre fare, si è letteralmente trasformato. Ho visto molto meglio Mickey, Cordinier e soprattutto Paiola, tutti giocatori che sembrano letteralmente trasformati, come se qualcuno avesse fatto in loro un piccolo trapianto di cervello. Insomma, che Bologna faccia bene in Eurolega non mi sorprende affatto, anzi mi sorprende l’imbarcata che hanno subito a Madrid, partita che non ho visto e della quale dunque sarei lieto se qualcuno mi spiegasse cosa cavolo è successo.

Per quanto riguarda Milano ho smesso di tentare di capire qualcosa già da molto tempo, per cui, se sarà possibile, leggerò i commenti di Buck e basta. Mi sembra la classica squadra di ogni anno, costruita un tantino a capocchia, senza gerarchie precise, con un gioco che a volte sembra eccellente, ma poi, quando culo mangia mutande, sa sfaldarsi in modo quasi sublime, direi metafisico. Chiaramente di basket non capisco niente, per cui d’ora in poi me ne starò zitto.

In generale vedo squadre che, secondo me, a questo punto della stagione si stanno ancora un po’ cercando, stanno tentare di trovare equilibri nuovi dopo il solito stravolgimento del roster che avviene ormai praticamente ogni anno. Seguo con molta nostalgia, che a volte diviene angoscia, le imprese delle due squadre di Belgrado che tutto sembrano meno che squadre serbe. E infatti non lo sono, visto che a comandare è la legione straniera ingaggiata a suon di dollari, con i giocatori locali confinati nel ruolo di cast di supporto, se non addirittura di comparse, e ricordo i tempi nei quali Bosna e poi Cibona, Jugoplastika e lo stesso Partizan vincevano le Coppe dei Campioni con soli giocatori locali in squadra, per la massima parte formati nello stesso club, e praticavano un gioco ben definito, nel solco degli insegnamenti di una scuola, lasciatemelo dire, irripetibile. Però i fatti mi dicono che a Belgrado c’è un interesse spasmodico, che gli abbonati di Partizan e Zvezda bastano da soli a riempire per ogni partita l’Arena, palazzo da 20000 posti, e dunque devo solo abbozzare e ammettere che, per quanto mi rivolti lo stomaco, il basket moderno è questo e dunque bisogna adeguarsi. Io no, però, spero che me lo concediate, vista la mia avanzata età. Voglio sempre ricordare Mirza, Kića, Praja, Dražen, Kukoč, Rađa, Sale, Danilović e cullarmi nei dolci ricordi di quello che fu il vero basket.

E a proposito di basket stravolto vorrei dire qualcosa sull’NBA. Ebbene, sì. Comincio con l’unica nota positiva che mi sembra posso cogliere in questa stagione, e cioè l’istituzione della “Coppa USA”, il torneo nel torneo che vedrà le Final Four a Las Vegas con in palio un trofeo a parte. In un pezzo, secondo me il migliore e più lungimirante che abbia mai concepito, che scrissi agli inizi degli anni ’90, dunque tantissimi anni fa, per il house organ della Scavolini curato da Franco Bertini, parlai della convergenza delle specie, e segnatamente come nel campo del basket, partendo da basi di partenza totalmente differenti, quelle dei club di paese e città in Europa con storie antiche che si sono fatti strada con il lavoro e con la continua scalata delle gerarchie sportive fino ad arrivare con il sudore della propria fronte e le capacità tecniche ai massimi vertici e quelle delle franchigie americane gestite da un onnipotente potere centrale che le ha create, vere e proprie compagnie di spettacolo itinerante, alla fine al vertice le cose tendono a convergere, visto che le esigenze della popolarità e dello spettacolo prevalgono inevitabilmente. Ammonivo comunque che bisognava sempre ricordare che le basi di partenza erano totalmente differenti e dunque la cosa più sbagliata che si potesse fare era imporre a organismi basati sul carbonio e l’ossigeno un’atmosfera di ammoniaca e cianuro, quella della specie aliena. Convergenza dunque sì, ma sempre tenendo ben separati i due mondi, ricordando sempre quale fosse la loro genesi. Cosa che evidentemente non hanno preso in considerazione gli idioti che hanno tentato di imporre il sistema americano nel calcio europeo, venendo stritolati dalla rivolta popolare in meno di 48 ore (con il magnifico motto stampato sulle maglie del Leeds che affrontava il Liverpool: “earn it”). L’istituzione del torneo di metà stagione nell’NBA è la conferma ulteriore delle mie tesi. Anche la potentissima NBA, se vuole mantenere viva l’attenzione, deve trovare un modo di attrarre il pubblico prima della primavera dell’anno successivo, soprattutto in questi ultimi tempi, nel quali l’All Star Weekend è diventato una patetica farsa (ho letto comunque che l’anno prossimo ritorneranno alla classica sfida Est-Ovest – può essere?). E dunque si inventa la “Coppa”, come fanno nel calcio europeo da tempo immemore.

Per il resto peggio che andar di notte, come diciamo a Trieste. Non parlo di Dončić, in quanto con l’uditorio che ho non ha senso che lo faccia, dico solo che il mese di allenamento atletico che ha fatto da solo a Lubiana prima dei Mondiali ha sicuramente dato i suoi frutti, in quanto appare molto più tonico e in palla, e dunque voglio concentrarmi su quanto sta facendo il megacrack del futuro, l’alieno del parquet, primissima scelta per acclamazione al draft, il fenomeno di 2 e 24 francese di nome Victor Wenbanyama.

Detto e ribadito che il ragazzo è un vero e proprio “freak”, come ce n’era stato in passato solamente un altro di nome Arvydas Sabonis, cioè un normolineo dotato in modo superiore alla media per il basket. ma allargato a dismisura rispetto al resto dell’umanità da madre natura, l’unica cosa che conta è giudicarlo da quello che fa in campo e di come le sue incredibili doti possano far salire il rendimento della squadra nella quale gioca. Tutto il resto, leggi i suoi numeri personali e le sue statistiche, contano esattamente un emeriterrimo (scusate il superlativo ad hoc) tubo. Visto che è la sensazione del momento è solo ovvio che Sky trasmetta un numero spropositato di partite di San Antonio, del tutto irreale rispetto al valore estremamente scarso della squadra, per cui, spinto da una, spero me lo concediate, legittima curiosità, ho visto queste partite, o almeno gran parte di esse (vederle tutte è ancora un compito per me impossibile), e dunque mi son fatto un’idea. Detto in breve: una tale delusione, o meglio rabbiosa frustrazione, l’ho vissuta finora molto raramente. Avete presente quei ragazzi che a scuola avrebbero tutte le doti per emergere, per diventare qualcuno, ma non si applicano per varie ragioni, pigrizia, mancanza di educazione al sacrificio, carattere ignavo? Questo è molto peggio. Perché non lo so, probabilmente è un mix delle cose che ho appena detto per gli studenti, ma la ragione principale penso risieda nel fatto che finora è vissuto nella bambagia, che è da quando ha cominciato a giocare a basket che tutti magnificano le sue doti, che è insomma straviziato dall’ambiente e soprattutto dalla stampa per la quale un elemento dotato di un talento talmente enorme è una vera e propria manna dal cielo sulla quale costruire storie su storie. Ho pensato divertito cosa avrei fatto io nel mio piccolo quando ero allenatore con un ragazzo simile. Probabilmente sarei finito in prigione per il numero infinito di calci nel sedere che gli avrei rifilato per svegliarlo. La cosa che sopporto di meno è vedere un talento buttato alle ortiche. Lo reputo un delitto contro l’umanità. Dio o la natura, fate voi, ti ha dotato di doti immense e tu le sprechi. Non si può, è una cosa che sfiora il blasfemo.

Insomma cosa ho visto per emettere già da adesso un verdetto del genere che, sono sicuro, mi fa diventare una specie di mosca bianca nell’intero panorama di coloro che parlano di basket? Ho visto una larva che si trascina pigramente per il campo, che in difesa l’unica cosa che sa fare è distendere i suoi interminabili tentacoli per agire da ombrello atomico su qualche conclusione dalla breve distanza, mentre invece di fare un semplice tagliafuori o finanche di andare magari a rimbalzo tentando di farsi strada fra qualche palo avversario che si trova davanti non se ne parla neppure. In attacco, se possibile, è ancora peggio. Dall’alto dei suoi 224 cm l’unica cosa che fa è sparare qualche tiro da tre con il mondo che va in deliquio quando magari lo segna, perché ha una mano veramente fatata, mentre invece di fare un tiro in avvicinamento, magari qualche penetrazione con le proprietà di palleggio che si ritrova anche qui neanche a parlarne, di andare a rimbalzo in attacco non ne ha la minima intenzione, magari qualche volta fa qualche passo di avvicinamento, ma solo per la foto, in punta di piedi per non farsi male facendo a spintoni con qualche forzuto avversario, di accompagnare il gioco con qualche taglio fatto al momento giusto non gli passa neanche per l’anticamera del cervello. Seguendo la partita contro Minnesota mi sono fatto una grande risata, venata da molta tristezza interiore, quando in un’occasione, per puro caso, forse per aver sbagliato strada, si è trovato a centro area e al compagno è venuta l’idea di passargli un pallone alto, a un’altezza che solo lui può raggiungere, e lui l’ha presa e depositata a canestro, circa due piani sotto rispetto a dove l’aveva presa. Una roba da non credere. Soprattutto da non credere che sia stata una volta sola in tutta la partita. Perché non sempre, di grazia? Sono subito andato con i ricordi ai tempi di Jabbar giovane a Milwaukee che faceva ‘ste cose di continuo, che lottava per i rimbalzi, che dominava sotto canestro son la sua tecnica e la sua intelligenza, che spostava insomma gli equilibri della partita in modo decisivo essendo sempre nel cuore del gioco. Che fosse tutta un’altra pasta di uomo e giocatore? Insomma, penso che Wenbanyama, a meno che non vada per un annetto a farsi curare a calci nel sedere da Obradović, sarà uno dei più grandi bluff della storia del basket, uno di cui si ricorderanno highlights incredibili e irripetibili, ma che non farà mai vincere alcunché alla sua squadra. Attenzione, non parlo del ragazzo che non conosco, che anche a sentirlo parlare sembra una persona molto a posto, ma proprio del giocatore, in realtà sempre coccolato e viziato, ma a cui nessuno ha mai insegnato che per vincere bisogna combattere e che essere solo belli non serve a nulla.

Di sfuggita: che quelli dell’NBA non capiscano un tubo di basket e di cosa è veramente importante me l’ha confermata la partita fra Dallas e i Clippers. Lascio ovviamente ancora da parte Dončić che assieme a Irving ha asfaltato in modo inverecondo LA, e allora riporto solo il commento su YouTube di uno spettatore che mi ha fatto veramente ridere, ma anche piangere: “Chissà come si diverte Kawhi a giocare con “Playoff” P., con “The System” Harden e con Westbrick!”. Forse il basket è qualcosa di più di una collezione di figurine. Come del resto ogni gioco di squadra, se è per quello.

Ultima cosa: sarebbe bello trovarsi per una sconvenscion prima di Natale, come l’anno scorso per salutarci e farci gli auguri. Orientativamente pensavo per sabato 9 dicembre. Sembra una buona data con la festa dell’Immacolata il giorno prima. Sapetemelo dire che magari mi organizzo.