Il Madison Square Garden di New York, teatro delle Final Four del NIT

Il Madison Square Garden di New York, teatro delle Final Four del NIT (Foto di Luca Weber)

Il Madison Square Garden di New York City è, per autoproclamazione, l’arena più famosa del mondo. È la casa dei Knicks della NBA, dei Rangers della NHL e delle Liberty della WNBA. Ma è anche stato il teatro dei concerti dei più grandi cantanti e delle band più famose, di eventi politici di rilevanza nazionale e di alcuni dei più importanti incontri di pugilato della storia. I corridoi del palazzetto sono pieni di immagini che ricordano ciò di cui queste mura sono state testimoni.

Ma per un paio di giorni l’anno, l’arena più famosa del mondo, si trasforma in un’enorme palestra universitaria. Quei giorni sono sempre ai primi di aprile, quando si giocano le Final Four del NIT, il National Invitation Tournment.

È il più antico torneo a livello universitario essendo nato nel 1938, un anno prima di quello della NCAA. Nel corso degli anni ha però perso molta della sua importanza ed ormai è considerato come una consolazione per le squadre che non sono state invitate alla Big Dance. Ma per chi arriva alla finale, rappresenta pur sempre un appuntamento importante.

E quest’anno, in finale, ci sono la Southern Methodist University (meglio nota come SMU) e l’Università del Minnesota.

Già nei giorni scorsi, per le varie attrazioni turistiche della Grande Mela, si potevano notare sparuti gruppi di tifosi delle due squadre. Fan che hanno affrontato il lungo viaggio che separa il Minnesota ed il Texas dalla città che non dorme mai.

Diciamolo subito, oggi il Garden non è pieno, anzi. Non ci sono i 19.812 appassionati (e non) che per quarantuno sere a stagione (più gli eventuali playoff) seguono le partite della squadra di Carmelo Anthony e soci. Stasera non ci sono più di quattro/cinque mila paganti. Pubblico formato dai parenti, amici e fidanzate dei giocatori delle due squadre. Ma (ovviamente) non solo.

Ci sono gli studenti dei due atenei che hanno optato per una settimana a New York invece di un volo verso le spiagge di Cancun per la classica folle vacanza nello spring break collegiale.

Ma ci sono anche gli ex studenti, che magari adesso vivono qui nel nordest, e che sono venuti a riassaporare, seppur solo per un paio d’ore, alcuni momenti della loro vita passata, di quando erano solamente dei giovani spensierati senza ancora il mutuo da pagare.

L'interno del MSG (Foto di Luca Weber)

L’interno del MSG (Foto di Luca Weber)

Ed infine i semplici appassionati di questo gioco, che si sono concessi una serata fuori casa, per godersi una partita di pallacanestro nella sua espressione più pura.

Sono solo poche migliaia, dicevamo, ma si fanno sentire. Eccome. Guardano la partita in piedi, urlano ad ogni azione, esultano ad ogni canestro e non smettono mai di fare il tifo. I loro cori sono spontanei e non “suggeriti” come succede al piano di sopra. “Defense, defense”, ad esempio, lo cantano da soli, non serve il nastro a suggerirlo.

Tifosi che, nella più classica, tradizione americana, condividono gli spalti senza nessun problema, senza nemmeno una parola fuoriposto. Questo è lo sport a stelle e strisce, divertimento, passione, gioia, dolore, ma mai che si trasformi in battaglia.

Poco più in giù, ovvero sul campo da gioco, ci sono due facce note costantemente in piedi davanti alle panchine.

Per SMU è una vecchia conoscenza del parquet del MSG. Larry Brown. Nato a poche miglia da qui, appena al di là del ponte di Brooklyn, vanta un glorioso passato da allenatore nella NBA (è il quarto, per vittorie nella storia della lega), arrivando per tre volte a giocarsi la finale e vincendo quella del 2004 alla guida dei Detroit Pistons. Ha allenato anche qui, dicevamo, nella stagione 2005-06, lasciando più brutti che bei ricordi, perché nessuno è profeta in patria, come anche Steph Marbury e Metta World Peace hanno provato sulla loro pelle.

Una ventina di metri più a sinistra, salta ed urla Richard Pitino il quale, seppur dall’alto della sezione 216, assomiglia clamorosamente, per postura ed movenze, al più famoso padre Rick. Pitino, appena trentaduenne, è alla sua prima stagione da allenatore dei Golden Gophers, ma è già qui a giocarsi un titolo.

La banda di SMU, un classico nelle partite di college basketball (Foto di Luca Weber)

La banda di SMU, un classico nelle partite di college basketball (Foto di Luca Weber)

La partita è quella classica di college basketball (potete leggere la cronaca nel racconto di Andrea Palmia nella sezione NCAA di Dailybasket.it), tirata, aggressiva, in cui ogni possesso vale oro. Con i giocatori pronti a sputare sangue ed a giocare anche su una gamba sola. In altre parole, lo spirito della pallacanestro universitaria, spirito che poi si tende a perdere a livello professionistico.

A vincere sono meritatamente, seppur un po’ a sorpresa, i ragazzi del Minnesota, i ragazzi di Pitino jr. E se metà del pubblico se ne va appena finita la partita, l’altra metà rimane per esultare, festeggiare e per stringersi attorno alla squadra campione del torneo del NIT 2014.