Desaparecidos

Di un’auto malmessa, di un edificio decadente per cattiva manutenzione o di un qualsiasi oggetto che mal sopporta gli anni si suol dire che “perdono i pezzi”. Un paragone con il basket nostrano può apparire forzato, eccessivo, ma ha un fondo di verità che non si può disconoscere. Il basket, è vero, non è in rovina e, qua e là, dimostra di essere vivo, a volte brillante. Ma, osservandone il corpo, più del volto, che può beneficiare di un sapiente maquillage (per i più giovani, lifting), si notano increspature più o meno profonde causate dalla mancanza, o perdita?, di alcune vitamine.

Forse sono passi evolutivi, ma la sparizione pressoché completa di alcuni elementi che lo hanno sempre caratterizzato lasciano lacune evidenti nel gioco, snaturando qualche suo momento significativo, per intensità e agonismo, o, per dirla in altro modo, per come si riverberano nel suo fluire.

A sostegno di questa interpretazione ci sono, fra gli altri, tre esempi chiari ed inequivocabili. Due si riferiscono ad aspetti puramente tecnici, mentre il terzo antepone uno stampo “amministrativo” al risvolto tecnico.

Il primo grande assente, nella quasi totalità dei casi che lo contemplerebbero, è il taglia fuori. Uno dei momenti più avvincenti, agonistici e incerti di un’azione è provocato da un tiro, soprattutto da fuori, che non va a segno, tocca il ferro e ricade in campo. Il pallone diventa una preda ambita – o, almeno, lo dovrebbe essere – e il suo possesso importante tanto per chi difende che per chi attacca. Non concedere o conquistare l’opportunità di un secondo tiro può essere vitale e incidere positivamente o negativamente sull’esito di una partita caratterizzata dal punteggio incerto tanto quanto percentuali di tiro scadenti o eccellenti, palle perse o recuperate, ecc…

Purtroppo, oggigiorno, la maggior parte dei difensori, al contrario di quanto dicono i sacri testi e di quanto accadeva in passato, dimentica di prendersi cura dell’avversario, non si preoccupa di tagliarlo fuori, di renderlo inoffensivo, non cerca una posizione solida fra avversario e canestro che costituisca un ostacolo difficile da aggirare (privilegiando, caso mai, il contatto manuale con il corpo dell’attaccante). Il baluardo difensivo è spesso inefficace e concede una più agevole riconquista del pallone all’attacco. La formazione di un compatto triangolo difensivo è ormai dimenticata dimenticando che costituirebbe una barriera inespugnabile e renderebbe il pallone ancora di più un oggetto del desiderio.

Ci sono due fattori concorrenti che inducono i difensori a trascurare il taglia fuori: l’aumentata dimensione dell’area e il tiro da tre punti. Il primo comporta un maggiore allontanamento dal canestro, il secondo un rimbalzo del pallone più lungo, più lontano dall’area calda sotto canestro, cosicché, i difensori sono richiamati fuori sul perimetro a difendere la minaccia del tiro da tre punti.

Tuttavia, ciò non toglie che qualche sano scontro in più, sportivamente parlando, contribuirebbe a vivacizzare attimi che il solo atletismo di oggi non permette.

Secondo, ma non meno importante, tassello mancante (o quasi), è l’arresto e tiro. Se il pick & roll, tanto per citare una situazione di gioco attualmente in voga, vive momenti di gloria (non sempre meritati per qualità di esecuzione), l’arresto e tiro è relegato ai margini del palcoscenico oscurato da primedonne reali e presunte. Da qualche anno non è più parte integrante del bagaglio tecnico individuale della maggior parte dei giocatori, relegato in secondo piano o accantonato da scelte divenute prioritarie anche se a volte non troppo oculate.

E’ forse improprio parlare di moda, ma tant’é. Chi gestisce il pallone con l’intento di attaccare il canestro privilegia la penetrazione o, ancor più, il cosiddetto penetra e scarica al compagno appostato al di là della linea magica dei tre punti e, a volte, sorpreso dall’inatteso passaggio (risultato: palla persa) a quell’arma micidiale che è l’arresto repentino che sorprende e manda fuori equilibrio il difensore e ne allenta la pressione. Se ben eseguito, per tempo e tecnica, è un’arma letale, e l’attaccante dispone di un atout che ha concrete possibilità di essere la carta vincente. Purtroppo, l’arresto e tiro è dimenticato, ma sarebbe piacevole, per chi si gode lo spettacolo, e utile, per chi beneficia dei suoi effetti. Tifare per un suo ritorno a pieno titolo è sacrosanto, se non doveroso. In ultima analisi, sarebbe il basket a trarne vantaggio.

Infine – argomento ancor più delicato perché coinvolge i tre signori in campo che amministrano le partite – e non per minore importanza, un’occhiata attenta la merita anche un momento che è da sempre delicato da valutare, non fosse altro che per la corretta determinazione della sua durata: i 3 secondi in area. Oggetto di controversie e contestazioni, in passato spesso accese, questa infrazione al regolamento è ormai chiamata in casi eccezionali, quando il soggiorno di un attaccante all’interno dell’area è macroscopicamente evidente. In caso contrario gli attaccanti possono farci su un pensierino, attendere fiduciosi un passaggio dentro l’area od un tiro del compagno. Se un tempo era più complicato individuare l’infrazione per la maggiore congestione all’interno dell’area colorata, oggi dovrebbe essere più agevole per l’isolamento nella stessa dell’attaccante che la commette. Non si tratta di distrazione ma, molto probabilmente, di una maggiore attenzione a componenti più “vistose” del gioco e di una loro più agevole individuazione.

Ma tant’ è. I 3 secondi sono una fase dimenticata, emarginata da altre più in voga e viene da pensare, magari provocatoriamente: perché non eliminare questa regola?

Questi tre momenti si possono considerare ormai rari camei che impreziosiscono spettacoli a volte non esaltanti. Quanto sarebbe più vivo e, perché no, bello e spettacolare il basket con il ritorno al pieno impiego di questi ingredienti?

Aldo Oberto

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