Due belle notizie per la Reggio Emilia cestistica, intendendo tutta una provincia fertile di squadre e di personaggi; due eventi apparentemente lontani, ed uno ancora incompiuto, che però premiano la passione e l’impegno di tanti.

Sotto gli occhi di tutti c’è la promozione della Trenkwalder in Serie A, dopo un purgatorio di cinque anni per una retrocessione vissuta con un abbattimento incredibile e infatti deleterio. Eravamo nel 2007 e Reggio Emilia sentiva di aver subìto un’ingiustizia quando scoppiò il caso Lorbek, tesserato in maniera fraudolenta da Treviso e decisivo nella sconfitta subìta dagli emiliani contro la Benetton: due punti che alla resa dei conti significarono retrocessione. Fu un anno difficile per tutti, uno dei più pesanti di quel processo di sgretolamento dell’istituzione basket che continua a produrre effetti devastanti. La questione Lorbek iniziò a far riflettere la famiglia Benetton sulla permanenza in quello sport ormai così lontano dai loro valori iniziali; la Lega Basket cacciò di fatto Enrico Prandi avventurandosi nell’effimera presidenza Pieraccioni e di fatto aprendo la fase di ridimensionamento e impoverimento di una struttura che per alcuni proprietari e presidenti oggi potrebbe anche limitarsi a pensare alla classifiche e alle statistiche anziché fare (anche) della sana politica sportiva in un momento di crisi della forma e della sostanza della pallacanestro di vertice. Ma torniamo a Reggio.

E’ stato un quinquiennio difficile, con cambi di allenatore anche schizofrenici (pensiamo alla toccata e fuga di Finelli) e giocatori in continuo (s)cambio, alla ricerca di un equilibrio perduto. Altrove la caduta avrebbe potuto essere rovinosa, complici la delusione, la fatica nel restare ad un certo livello, le comparsate di personaggi lontani anni luce da quelli che avevano esaltato la piazza anche solo pochi anni prima e a poco serve la luce del talento di Melli, perché destinato fin da subito a cercare gloria altrove, ma nemmeno la periodica ricomparsa estiva di Kobe Bryant, che da queste parti ha vissuto da ragazzino e che a Reggio Emilia è rimasto legatissimo. E qui viene fuori il carattere reggiano, il luogo comune della testa dura, ma anche l’attitudine a tenerla bassa, quella testa: per umiltà e per resistenza. La città godereccia e dal palato fino sa anche soffrire e sa non disperare, c’è da dire anche aiutata da una stampa locale che segue il basket in maniera capillare e che anche nei momenti peggiori lo fa con quella passione che fa essere costruttiva anche la critica più spietata, perché vera, di pancia.

Nell’ultima stagione, confermata la panchina a coach Menetti viene assemblata una squadra all’apparenza stagionata, parola pericolosa altrove ma essenziale qui, nella terra del Parmigiano Reggiano ed ecco allora che l’esperienza e la professionalità creano anche nel basket il giusto prodotto. Arriva la meritatissima promozione e la Serie A ritrova finalmente una protagonista, una società sana, con una dirigenza nella quale spiccano la competenza di Alessandro Dalla Salda e l’impegno del neofita (dietro una scrivania) Alessandro Frosini, ma soprattutto con un proprietario come Stefano Landi che non ha mai fatto mancare il suo appoggio al club, anche dopo aver lasciato la presidenza. Resta il nodo irrisolto del palasport, si giocherà ancora in quello obsoleto di Via Guasco e ormai i biancorossi ci hanno fatto il callo e forse anche se nessuno lo ammetterà mai a quell’impianto inadeguato ci sono affezionati come ad un portafortuna, perché se si pensa alla fine che ha fatto la Reggiana Calcio, precipitata dalla Serie A alla Lega Pro, dopo l’inaugurazione dello splendido Stadio Giglio…

La seconda buona notizia è nel sommerso di una decisione presa dalla Corte d’Appello di Venezia che ha riconosciuto all’Associazione Italiana Calciatori il diritto a chiamare “Oscar del Calcio” il premio organizzato appunto dall’AIC, dopo che l’Academy of Motion Picture Arts and Sciences di Los Angeles aveva fatto causa chiedendo che le venisse riscontrata la proprietà esclusiva di quel marchio e del suo utilizzo. Lo aveva fatto, in maniera più blanda e senza ricorso diretto alle vie legali – ma ottenendo quello che chiedeva – anche nei confronti del Comune di Quattro Castella, sulle prime colline reggiane, che da un quarto di secolo organizza quel “Premio Reverberi” da subito ribattezzato “L’Oscar del Basket”, per la sua importanza a livello nazionale ed europeo. In realtà tutti avevano continuato a chiamarlo così, ma solo verbalmente. La sentenza di Venezia sostiene in pratica che parlare di “Oscar” come premio è ormai così diffuso in così tanti settori da poterne liberalizzare l’uso, anche perché il premio originale, quello hollywoodiano, pur restando il più famoso non viene penalizzato dal fatto che quel nome venga impiegato altre manifestazioni e senza nessun vantaggio commerciale indebito. Sono contento soprattutto per Gian Matteo Sidoli, il “Santone”, deus ex machina della manifestazione che si tiene ogni anno nel mese di febbraio nella splendida località emiliana e per la perfetta macchina organizzativa del Comune.

Perché a Reggio Emilia e dintorni, lo spettacolo non è davanti al grande schermo, è intorno ai parquet.