donkey basketVorrei potervi scrivere che negli scorsi mesi mi sono perso al seguito de l’Ultima Legione alla conquista di remoti playground, ma la cruda verità è che mi sono perso e basta in un ginepraio di faccende assai meno nobili e interessanti del nostro amato basket. Chiedendo scusa ai miei eventuali tifosi (a partire da quelli che fischiano per motivarmi a fare di più) e agli amici di dailybasket per non avermi a ragione schiaffato nella “injured list”, eccomi allora di ritorno con qualche rimbalzo-flash di inizio stagione, giusto per ricominciare a prendere confidenza con la palla (o meglio con la tastiera del pc).

L’avventura del Qualifying Round. No, non quella conclusasi alla meglio di Cantù, ma quella di un figlio di un amico che – grazie a un giro di biglietti offerti dagli sponsor – s’è ritrovato sugli spalti desolatamente vuoti del Palazzetto di Desio in una giornata che non vedeva impegnati i brianzoli. Il che non gli ha impedito di tornare a casa e, agli amici ancora riuniti in cortile grazie al caldo settembre lombardo, raccontare che aveva visto “le partite della Coppa dei Campioni del basket”. Piccola riflessione: ma l’Eurolega, assodato che difficilmente ci sarebbe stata la fila ai botteghini, non poteva invitare le scolaresche o le squadre di mini-basket di Desio e comuni limitrofi? Tanto per rimanere in zona, l’Inter invita regolarmente i bambini delle scuole e il Milan quelli degli oratori: poi per forza che hanno in mente solo il calcio…

Essere o avere? O tutti e due? Ogni volta che vediamo una squadra come il Le Mans sconfiggere una come l’Unics Kazan, pensiamo che ci piace lo sport perché i soldi contano ma non bastano. Poi vediamo le ricche Barcellona e Fenerbahce lottare con gli occhi della tigre in quella specie di “Holiday on Ice” che è l’Nba Europe Live Tour e pensiamo che, ormai ineluttabilmente calati nell’epoca dello sport-business, ci piace il basket dei soldi spesi bene.

Italiani si nasce, protagonisti si diventa (anche per scelta). Con la maglia di Siena Pietro Aradori si è tolto la soddisfazione di vincere due scudetti, con quella di Cantù si sta ora togliendo quella (non indifferente per un attaccante nato come lui) di essere davvero protagonista. Se parlate con un qualsiasi coach di livello, vi dirà che quelli bravi giocano sempre. Noi aggiungiamo che in certe situazioni (intese come ruolo affidatogli nel roster) giocano anche meglio. Discorso applicabile anche a Gigi Datome in quel di Roma.

Dategli il microfono, ma magari anche una panchina. Tornando al Qualifying Round di Eurolega, abbiamo apprezzato il Lino Lardo commentatore tecnico per Sportitalia. Ma apprezzando anche e soprattutto il coach (per doti tecniche e umane), ci stupiamo del suo prolungato periodo di disoccupazione. Pure in tempi di crisi come questi.

Il pubblico di Milano. Riempire il Forum, o almeno non lasciarlo vuoto per due/terzi in regular-season, è tra le più impegnative sfide dell’ambiziosa Olimpia (che per riuscirsi deve però imparare a mettere insieme qualche lunga striscia vincente anche quando i due punti contano meno). Ma noi in questo caso ci riferiamo a quello dei 12 mila accorsi per vedere l’EA7 contro i Celtics: vero che in quel di Milano era ancor di più una partita-spettacolo, vero che tanti arrivavano da fuori città e solo per ammirare i campioni dell’Nba, però tra tanti cespugli di maglie verdi sarebbe stato carino vedere sugli spalti anche qualche maglia biancorossa. O almeno una sciarpa, quella ce l’avevano pure i ridenti supporter dell’Alba Berlino…

ps: L’immagine di questo post è parte del poster che pubblicizzava l’incontro di basket in groppa agli asini in programma a Seattle il 15 marzo 1959 per raccogliere fondi a favore di un nuovo Centro infantile per i disturbi dell’udito e del linguaggio. Flickr CC: Seattle Municipal Archives.