Frates Si potrebbe scrivere di “fulmine a ciel sereno” in casa Cimberio, se non fosse che il cielo sopra la Varese cestistica è denso di nubi ormai da mesi e la debacle interna con Sassari le abbia compattate ancora di più. E’ però innegabile che la decisione di sollevare Fabrizio Frates dall’incarico di capo allenatore non fosse attesa, non tanto per i risultati – che sono sotto gli occhi di tutti – ma perché si credeva nella fedeltà, da parte della società, ad una linea che aveva sempre escluso l’avvicendamento della guida tecnica, anche quando pareva quasi normale che una scossa dovesse arrivare tramite questa strada. E, soprattutto, la scelta stride con quanto dichiarato nella giornata di ieri dal presidente Cecco Vescovi (fonte La Prealpina): “Questi siamo e con questi andremo sino alla fine. Abbiamo già fatto due cambi che qualcosa di buono hanno portato e non siamo nelle condizioni di poter fare altri interventi. Cerchiamo di fare quadrato e di ritrovare entusiasmo; ma dobbiamo esser noi gli artefici della svolta mettendo in campo impegno e determinazione. La contestazione a FratesLa mia posizione è nota, inutile tornare sull’argomento.Parole che sembravano confermare l’intoccabilità del coach milanese per i piani alti di Piazza Montegrappa. All’ora di pranzo di oggi, invece, è comparso il comunicato dell’esonero. Cosa è successo in queste ore? Perché le dichiarazioni di Vescovi sono state disattese? Presa di posizione da parte della squadra contro Frates (ed i segnali in questa direzione sono stati tanti e visibili, soprattutto domenica)? Intervento del Cavalier Cimberio, che già poco più di un mese fa, dopo la sconfitta interna con Roma, aveva manifestato il suo malumore verso squadra e conduttore della stessa? Solo ipotesi senza nessuna conferma.

Di certo c’è che finisce una storia mai sbocciata in vero amore. Le perplessità dell’ambiente nei confronti de “l’Architetto” sono note fin dal suo insediamento estivo sulla panchina che fu di Frank Vitucci. Frates si è dovuto scontrare con i pregiudizi derivanti dal suo essere di origine meneghina, dall’aver raggiunto la gloria sportiva con gli “odiati” cugini canturini, dall’essere stato esonerato come vice di Scariolo la scorsa stagione e dall’essere considerato allenatore dai modi burberi e non inclini al rapporto con i giocatori. Pregiudizi, appunto, assurdi se non visti nella logica del tifoso tout court, che è pessimista di natura e spesso ragiona di pancia. Ad essi ben presto si sono aggiunti i risultati scadenti della Cimberio 2013/2014, così diversi da quelli esaltanti di pochi mesi prima, con obbiettivi falliti in serie (accesso all’Eurolega, Supercoppa, Last 32 di Eurocup, Final Eight), filotti di sconfitte (il tassametro segna 22 perse su 32 partite ufficiali) e dichiarazioni del coach apparse quantomeno discutibili. Dopo la pesante sconfitta interna contro l’Acea Roma, che sanciva l’addio alle speranze di qualificazione alla fase finale

Frates in Sala Stampa (Foto Savino Paolella 2013)

Frates in Sala Stampa (Foto Savino Paolella 2013)

della Coppa Italia, Frates si era così sfogato in sala stampa: “Certo, abbiamo mancato l’obiettivo delle Final Eight. Ma per parlare di fallimento bisogna metterci d’accordo su quali sono i traguardi che ci siamo dati. Per me la qualificazione all’Eurolega non era un traguardo percorribile,  non lo era neppure la Supercoppa. Però se volete scrivere che abbiamo fallito tutti gli obiettivi, scrivetelo pure: vi dico anche che non vinceremo neppure lo scudetto». Sembrarono parole di un uomo in preda ad una sindrome da accerchiamento, parole che a Varese hanno scatenato un putiferio, sedato dalla società con la fiducia immediata al coach e dalla squadra con le successive importanti vittorie (Bologna in casa, Reggio e Venezia fuori), peraltro intervallate da altre sconfitte. Un primo strappo con la parte più calda della tifoseria si era, tra l’altro, già consumato precedentemente, durante l’inopinato 62-94 interno con Valencia. Quel “Frates vattene”, cui si era accodata solo una piccola porzione del resto del pubblico, è rimasto nell’aria fino a domenica scorsa, quanto è tornato a risuonare prepotente sotto le volte del Lino Oldrini dopo la sostituzione di De Nicolao con Rush, nel momento di massimo sforzo dei biancorossi nel tentativo di recuperare il passivo cui Sassari li aveva costretti. Il play azzurro era gravato di tre falli e stava subendo difensivamente Drake Diener, fisicamente più alto e grosso di lui, ma appariva anche l’unico in grado di far girare l’attacco varesino a ritmi consoni all’obiettivo “rientro in partita”: soggetto della sostituzione, per la quasi totalità dei presenti, avrebbe dovuto essere Clark, vagante come suo solito per il campo senza dare l’impressione di poter contribuire ad uno sviluppo positivo della partita. Da quel momento è stata guerra: i tifosi inferociti in un “dagli all’untore” ripetuto e costante, il coach impassibile davanti alla panchina a braccia conserte ed incapace, anche visivamente, di dare una scossa ed i suoi giocatori a sfiduciarlo palesemente, rifiutando di stringergli la mano dopo i cambi e mostrando – con l’atteggiamento del corpo – di aver consumato il loro distacco. Guerra con un’unica vittima accertata, la Cimberio.

Sgombriamo il campo da equivoci e ci permettiamo una previsione: ora che le strade di Coach e squadra si separano, Varese non risorgerà dalle ceneri di una stagione maledetta. I playoff sono ancora matematicamente possibili, sebbene difficili da raggiungere (l’ottavo posto di Avellino è a quattro punti, più due derivanti dallo scontro diretto a sfavore), e starà al subentrante Stefano Bizzozi il tentativo di cavare il sangue da una compagine che fino ad ora si è dimostrata un insieme di rape.  L’esonero di Frates viene dopo tentativi di dare una svolta tecnica (Banks e Johnson al posto di Coleman ed Hassell) andati infruttuosi e non si vede come possa cambiare davvero la situazione. Mesi fa, tutto ciò avrebbe avuto più senso, con tante partite ancora in calendario e la possibilità, per il sostituto, di lavorare ad un cambiamento a 360 gradi. Ora, a dieci giornate dalla fine, non c’è molto spazio di manovra e non ci sarebbe neppure per un mago della panchina. Sarà banale, ma in campo ci vanno i giocatori: resta un Clark inadeguato al suo ruolo di playmaker, resta una compagine poco atletica per reggere il confronto con gli avversari. Restano, insomma, parte delle scelte sbagliate nella costruzione dell’edificio-roster fatta in estate (con la scusante del budget ridotto) che hanno reso i prealpini ed il loro allenatore carne da macello in Italia ed in Europa. Scoprire che, risolto il problema (o l’alibi?) Frates, i biancorossi si trasformeranno in guerrieri senza paura in grado di lasciare, metaforicamente, la vita sul campo, non servirà ad altro che ad aumentare i rimpianti ed acuire la rabbia: una stagione sportiva non inizia a fine febbraio.


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