Flabo5Ottorino Flaborea, “Flabo” per tutti, capitano della Pallacanestro Varese anni 60/70, oltre 4000 punti realizzati in maglia biancorossa in 293 incontri ufficiali, ma anche oltre 700 punti in 118 presenze con la maglia azzurra.

Con Varese in testa al campionato dalla prima giornata, DailyBasket ha pensato che sarebbe stato interessante intervistare colui che con la maglia biancorossa ha vinto tutto: 3 Coppe Intercontinentali, 3 Coppe dei Campioni, 1 Coppa delle Coppe, 4 scudetti e 4 Coppe Italia.

“Flabo”, che ne pensa della Pallacanestro Varese 2012/2013?

I miei erano altri tempi. Quest’anno Varese ha una squadra rinnovata, che ho visto giocare molto bene; ultimamente un po’ meno contro Siena. Adesso però è una squadra quadrata con pochi punti deboli. Ha due/tre giocatori molto buoni: l’americano sotto canestro (Bryan Dunston, ndr), Polonara, giovane con un buon futuro sia sul piano fisico che dal punto di vista tecnico. Per dieci anni a Varese ne hanno indovinate ben poche ingaggiando mezze figure; oggi ha buoni giocatori”.

Pensa che questa Varese potrà arrivare fino in fondo?

“Certamente, come ripeto, Varese è una squadra di valore. Ho visto giocare bene anche Sassari, Milano è in ripresa; e poi c’è sempre la Mens Sana che ha ceduto tanti giocatori ma è sempre squadra solida e compatta che in Europa sta avendo un ottimo rendimento e che credo si farà trovare pronta per i play-offs, dove si riparte da zero. Determinante sarà la condizione di forma con cui le squadre arriveranno alla post-season. Ai miei tempi la formula del campionato era quella del girone all’italiana senza play-off (introdotti a partire dalla stagione 1974/1975, ndr); chi si classificava primo era al sicuro.”

Altri aspetti diversi che caratterizzavano la pallacanestro della sua epoca rispeto a quella

"Capitan uncino" in azione nel corso di una recente partita disputata tra vecchie glorie

“Capitan uncino” in azione nel corso di una recente partita disputata tra vecchie glorie

contemporanea?

Oggi l’arbitraggio ha raggiunto un livello di professionalità che ai miei tempi non esisteva: è meno casalingo, la squadra ospite è maggiormente tutelata. Oggi il fattore campo è determinato dal pubblico, non più dagli arbitri.

Nel 1967 disponevamo del miglior quintetto del campionato, vincevamo tutti i primi tempi di 25 punti e nel secondo tempo amministravamo il risultato; come scrivevano i giornalisti, ‘davamo lezione di pallacanestro’. Il titolo però finì a Cantù: eppure contro di loro vincemmo di 27 in casa e di 18 al Pianella. Perché non vincemmo il titolo? Perché alcune partite erano impossibili da vincere, anche per il miglior quintetto.

Solo un paio di aneddoti a supporto di quanto appena dichiarato: a Livorno, in seguito all’eccesso di interperanze del pubblico, fummo costretti a rientrare negli spogliatoi dove rimanemmo fermi per circa un’ora. Al rientro in campo, il pubblico era ancora assatanato come prima della sospensione e gli arbitri erano condizionati in maniera corrispondente: chiedemmo di poter fare alcuni minuti di riscaldamento, ma ci fu negato. Non godemmo di nessuna tutela e perdemmo la partita di un punto.

Poi andammo a giocare a Pesaro: sotto di uno, rimessa a nostro favore quando al cronometro mancavano 15’’ alla fine. Incredibilmente l’arbitro decretò in quel preciso istante la fine dell’incontro, assegnando la vittoria a Pesaro. Oggi si contano anche i centesimi di secondo.

Nel 1970 contro l’Armata Rossa perdemmo di 23 e al ritorno vincemmo di 20. Non c’era tutta questa differenza. Gli arbitri erano più influenzabili e influenzati dal pubblico di casa; erano decisamente “casalinghi”.

Per capire i tempi è necessario entrarci, viverli; bravi gli arbitri di oggi che hanno decisamente elevato la loro professionalità generale, svestendo in linea di massima i panni del “casalingo”. Nulla di personale da rivendicare; è semplicemente quanto personalmente rilevo dal confronto tra l’epoca contemporanea e quarant’anni fa”.

Flaborea e Menghin sollevano la Coppa dei Campioni conquistata a Sarajevo: è il 9 aprile 1970

Flaborea e Menghin sollevano la Coppa dei Campioni conquistata a Sarajevo: è il 9 aprile 1970

Lei era “Capitan Uncino” per il suo magistrale uso del tiro in gancio: quale ne fu l’origine?

Perché il mio primo allenatore, Marino Orlando di Trieste, veniva a Portogruaro “ammazzandomi” di allenamenti su questo fondamentale facendomi diventare capace di usare addirittura anche la mancina con la stessa efficacia della mano destra.

Io ero stato formato come pivot. Negli ultimi anni sessanta arrivarono nella pallacanestro europea diversi giocatori nel ruolo di pivot più alti di me (cm 198), specie dall’area slava: Zidek, Jelovac, Andreev. Il tiro in gancio mi consentiva di evitare la loro stoppata.

Con la nazionale, ai Campionati Europei del 1967 giocammo contro l’URSS: ero opposto ad Andreev, m 2,17, al quale quindi rendevo quasi 20 centimetri. Ebbene, mediante l’uso del gancio, realizzai contro di lui 23 punti.

Lo ritrovai il 9 aprile del 1970 in finale di Coppa dei Campioni a Sarajevo disputata contro l’Armata Rossa, o, se preferite, CSKA. Realizzai contro Andreev 5 ganci consecutivi negli ultimi 5’, determinanti ai fini del 79-74 finale per quella che fu definita la partita simbolo della grande Ignis Varese, l’inizio di un decennio di finali: Varese ne vinse 5 su 10, ma io – sogghigna Flabo – feci 3 su 4. Modesto, eh?!

Quando mi recai negli USA in tournèe con la Nazionale nel 1963, 1967 e 1971, inizialmente ridevano alla vista dello stile del mio gancio. Successivamente, però, notata l’efficacia del mio “uncino”, vennero a chiedermi come avevo imparato. Ai miei tempi addirittura i playmaker usavano il gancio dopo la virata: anche per loro era un modo per evitare la stoppata”.

Dunque, da dove si potrebbe ripartire per reintrodurre questo fondamentale nei nuovi giocatori, così efficace e così apprezzato dagli appassionati?

In 25 anni di insegnamento ai camp, ho tenuto innumerevoli lezioni sull’uso del gancio a distanza di un metro dal

7 novembre 2008 - Flabo viene nominato membro dell'Italia Basket Hall of Fame

7 novembre 2008 – Flabo viene nominato membro dell’Italia Basket Hall of Fame

canestro: una volta con la mano destra, una volta con la sinistra, una volta mezzo gancio, una volta gancio. E’ un tiro spettacolare ed altamente efficacie.

Oggi il gancio si effettua prevalentemente saltando con i piedi uniti. Ritengo sia meglio e di maggior efficacia eseguirlo alzando il ginocchio opposto; del resto, era lo stile anche di Kareem Abdul-Jabbar.

Ma l’ostacolo di base allo sviluppo della tecnica dell’esecuzione del gancio sta nei cambiamenti radicali che ha subìto l’impostazione del gioco: oggi il pivot viene impiegato prevalentemente come rimbalzista, non come terminale principale delle azioni di attacco. Ai miei tempi il playmaker era importante, ma lo erano ancor di più le ali ed il pivot. Oggi, secondo la mia opinione, il playmaker è divenuto l’elemento angolare del gioco, favorito dall’introduzione della regola dei 24’’ (introdotta a partire dalla stagione 200/2001, ndr) che ha alimentato l’adozione della scelta di effettuare molti giochi a due.

Vede, io sono di poche parole, ma quando si inizia a parlare di basket, le parole sgorgano in abbondanza e naturalmente; specie per chi li ha vissuti, si portano dentro per sempre e con immutato entusiasmo”.

Oggi il settantatreenne Flabo, dopo avere giocato fino all’età di 60 anni in Serie D, si definisce un pensionato, dedicato alla pallacanestro solamente in qualità di spettatore a tempo pieno. Mentre segue in tali vesti le gesta dei biancorossi di oggi, coglie l’occasione per inviare attraverso DailyBasket un affettuoso saluto agli appassionati varesini con un grande in bocca al lupo per il campionato in corso perché prosegua all’insegna delle migliori soddisfazioni.