Linton Johnson parla l’italiano. O, meglio, cerca di farlo. Può sembrare una
banalità per un giocatore di basket, per uno straniero che ha raggiunto l’
Italia con il compito di svolgere semplicemente il suo lavoro di atleta, ovvero
gonfiare le retine (nel suo caso sarebbe più corretto scrivere: per attentare
alla vita dei ferri del canestro) e non per tenere lezioni nella lingua di
Dante. Invece, in una pallacanestro che vive di rosters strutturati come tante
Torri di Babele, in un basket che le regole hanno da anni popolato di stranieri
necessariamente sempre con la valigia in mano e pronti a vivere la loro
esperienza lontano dal parquet come un’enclave esistenziale, questo dato serve
a capire l’atipicità dell’uomo di Chicago. Sul suo profilo Facebook ha, da
tempo, inaugurato una “rubrica”, la parola del giorno: un vocabolo da imparare
ad ogni sorgere del sole, per integrarsi sempre di più con il mondo in cui
Linton ha anche trovato amore e famiglia, oltre che successo come cestista. La
parola del giorno di martedi 21 gennaio 2014 è stata “Varese”. Dopo essersi
affermato ad Avellino ed al termine della fugace esperienza in terra sarda, la
nuova missione del “Presidente” è quella di dare un padrone ai tabelloni
colorati di biancorosso, dopo mesi in cui si è perso il conto di quanti
avversari siano ivi transitati, trovando l’accogliente scritta “Welcome” a
permettere loro ogni tipo di (cestistica) nefandezza ai danni della Cimberio.
Due partite sono troppo poche per un giudizio sensato sulla bontà dell’
operazione che ha portato all’avvicendamento di Frank Hassell, ancor di meno
per capire se i problemi sotto le plance (che non vedevano l’ex Hapoel Holon
come unico responsabile) siano stati risolti definitivamente. Gli spunti di
riflessione però non mancano. A cominciare dall’impatto visivo, a favore di
Johnson in modo quasi scontato. Se Hassell ha fatto storcere più di un naso fin
dal primo allenamento per la scarsa coordinazione della sua corsa, per la
staticità del suo incedere sia difensivo che offensivo, per le limitate doti di
salto, non si scopre certo solo ora la natura atletica
profondamente diversa del suo successore: l’ex irpino fa della velocità, dell’
elevazione, della rapidità i marchi di fabbrica su cui ha costruito una
carriera di centro sotto-dimensionato ma esplosivo e queste peculiarità non
sembrano essere scalfite né dalla carta d’identità né dal presunto logorio
delle sue ginocchia dotate di molle. Va da sé che le caratteristiche sunnotate
siano da considerare salvifiche per Varese nella lotta sotto canestro e le due
partite contro Milano e Venezia lo hanno già dimostrato. Nella sconfitta contro
l’EA7, LJ è stato limitato da due falli precoci: fuori dalla contesa per quasi
tutto il primo tempo, non è un caso che la squadra di Banchi abbia incominciato
a scavare un solco proprio in sua contumacia, dopo il buon inizio dei
prealpini. Il suo rientro nella ripresa ha comportato un maggior equilibrio che,
pur non bastando per ribaltare il risultato, è parso significativo anche solo
nel far capire che la Cimberio poteva reggere il confronto contro una squadra
che toglieva un Samuels per inserire un Lawal, non esattamente due sprovveduti.

Linton Johnson III

Linton Johnson III

Ventisei minuti in campo per Johnson alla fine, stessa quantità la domenica
successiva contro Venezia, dove invece è arrivata una vittoria importantissima
in chiave playoff. La coppia Crosariol-Magro è stata tenuta a 2 punti e 4
rimbalzi totali, cifre ben diverse dalle “scorpacciate” dei centri che hanno
incontrato Varese prima del suo avvento. Non ci si schioda dalla difesa: è
questo l’aspetto fondamentale dell’analisi. Più delle nude cifre dei suoi
tabellini personali – 7 punti di media, 6 rimbalzi ed 1 stoppata,
invero più modeste di quelle di Hassell – è l’impatto in retroguardia che
è già profondamente diverso dal passato, sia in termini di limitazione dei
diretti avversari, sia come protezione del canestro tout court, prima esposto
alle penetrazioni degli esterni come un’isola ai venti del mare. E la diversa
atleticità di Johnson rispetto ad Hassell sembra bastare nel dare una
minore ampiezza all’annoso problema, nell’attesa, per indole (forse) vana, che
gli esterni facciano il loro. In attacco la questione è diversa. Il centro di
Chasepeake costruiva le sue prestazioni offensive sul gioco in post basso,
cercando di sfruttare l’ingombrante fisicità nel tentativo di “ruzzare” verso
il canestro e concludere con una morbidezza di mano che occorre riconoscergli.
L’ex Sassari possiede meno gioco spalle a canestro, difetto compensato però da
una più spiccata capacità di attaccarlo frontalmente ed in volo, in particolare con
quelle schiacciate che, soprattutto in coppia con il “marchese” Green, lo hanno
reso celebre. Entrambi, peró, scontano e sconteranno le stesse
difficoltà in questa Cimberio, dovute al gioco essenzialmente perimetrale della
squadra ed ai limiti del playmaker deputato ad attivarli, al secolo Keyden
Clark, scarsamente propenso a servire in post lo statico Hassell, così come
inadeguato nello sfruttare con costanza la velocità di Johnson nei giochi a
due. Di diverso, pare esserci l’acume cestistico e la maggior esperienza del
secondo rispetto al primo. Un esempio emblematico può venire ancora da una situazione
occorsa nella partita contro Venezia: LJ, chiuso da un raddoppio sotto canestro,
ha avuto la capacità di ribaltare il gioco per una bomba fondamentale di Ere
dall’angolo opposto del campo; in circostanze analoghe il buon Frank si è
spesso espresso in una palla persa e conseguente contropiede subito, risultanze
di una scarsa capacità nel leggere le situazioni che il nuovo arrivato invece
sembra possedere in abbondanza. Anche questo fa attacco, verrebbe da scrivere,
in una compagine che, pur restando sempre sbilanciata sugli esterni (ed
ancorata alle loro prestazioni balistiche) deve essere in grado di contemplare
anche la nuova dimensione che Johnson può aprire nella fase offensiva. In
questo senso, sarà decisiva la sua integrazione con Banks ed Ere, più che con
il playmaker ex Venezia, potendo i due esterni essere interlocutori più
costanti e tecnicamente generosi. Ogni ulteriore considerazione dovrà
essere vagliata al netto dei successivi impegni. Sulla strada di Varese e del
“Presidente” si stagliano ora gli ostacoli Avellino e Sassari, quasi uno
scherzo del destino nei confronti del neo arrivato, chiamato a misurarsi
fin da subito con il suo recente passato. Due partite fondamentali
nella rincorsa da underdog della Cimberio a quella post-season che pareva
una chimera solo un mese fa. Quello che sembra certo è che, dopo mesi di
delusioni, equivoci tattici e tecnici, obbiettivi falliti e soprattutto di
porte aperte ad auspicati cambiamenti, l’arrivo di Linton Johnson (dopo
quello di Banks) rende la Varese attuale una versione definitiva per
questo campionato. Il brutto anatroccolo non sarà diventato cigno, ma ha
ora tutte le carte in regola per lottare.


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