Nella coda dei Quarti non c’è il veleno, pure temibile in una serie che va alla bella, ma c’è il ritorno al passato di una Pesaro che, unica, rovescia il vantaggio del fattore campo e va a guadagnarsi una storica semifinale con Milano. Avremo tempo e modo di riparlarne, l’attualità rimanda alle quattro escluse dal penultimo ballo tricolore.

Micov "lotta" con Cavaliero (foto R. Caruso)

Cantù ha perso energie per strada, delle poche che le erano rimaste e ha pagato in un’unica rata il credito con la fortuna degli ultimi anni. Fortuna coniugata con l’abilità di cercare e trovare sul mercato risposte adeguate all’obbligo di cambiare squadra stagione dopo stagione, ormai una costante in Brianza. Anche in anni di vacche meno magre come quelle di sei-sette anni fa. La Bennet esce a testa alta, ma l’orgoglio passa in secondo piano in una situazione che rimane di incertezza sul futuro prossimo venturo, perché raggiunta una certa tranquillità subito sono ripartiti i dubbi e le interrogazioni su quello che c’è dietro l’angolo: sponsor, palasport, squadra. L’impressione è che Cantù stia pagando anni (pochi, gli ultimi) di voli a quote inattese e che si stia invece vivendo un momento di stand by fra recenti glorie e antichi, ripetuti tormenti. La semifinale con Milano avrebbe aiutato molto, la sberla con Pesaro potrebbe lasciare tracce più persistenti di un rossore sulla guancia.

La Reyer impallinata da Milano vede giustamente un bicchiere mezzo pieno, al termine di una stagione imprevista e piacevole. Spendo una parola per l’allenatore Mazzon, giovane di effetto e di concretezza, poi finito nel calderone dei coach italiani senza troppi – o più – estimatori. Invece è bravo, è paziente, è maturato al punto giusto e ha portato Venezia ad una sfida di lusso, con il gusto di giocarsela con la leggerezza di chi ha solo tutto da guadagnare. Il futuro non inganna con troppi lustrini, ma in Laguna bastava avere la certezza di aver rimesso fondamenta solide, il resto arriverà, tornerà.

Charlie Recalcati (foto R.Caruso)

A Varese, Recalcati si è tolto di dosso dieci anni di età sportiva, poi sul finire della stagione un paio di stagioni le ha perse con l’incertezza per il suo futuro nella società che portò alla Stella nel 1999, ma il segno resta nettamente positivo e la resa con Siena non spoglia il club biancorosso delle soddisfazioni di un’annata più che soddisfacente. Nessuna esaltazione, nessuna illusione per il futuro in una piazza fin troppo scettica e ipercritica e magari invelenita dai successi al piano immediatamente superiore, quello di Milano e Cantù.

Per finire, la Virtus Bologna: 0-3 contro Sassari al termine di un’annata mediocre, positivizzata dal buon rendimento casalingo, mediocrizzata dalla realtà di una squadra con poche mezze punte e molte ambizioni spuntate. Palasport numericamente ben frequentato, incassi mai comunicati, ingressi di favore che hanno provocato il livore degli abbonati con il portafoglio in mano, ennesima campagna acquisti insoddisfacente. Fuochi artificiali in autunno pensando a Kobe Bryant, fiammelle di speranza a inizio primavera, ora sotto la brace il risentimento di buona parte della piazza per un proprietario sfasato. Bologna bianconera ha fatto il suo compitino arrivando quinta e accontentandosi di una sufficienza da ben aurea mediocrità, confermando la ormai prolungata ignoranza suol mercato straniero, abiurando il sempre sbandierato progetto di ringiovanimento italiano, ottenendo cose alterne dalle punte di diamante Koponen e Sanikidze. Per finire la stagione nell’anestetizzata reazione della piazza al tiro borderline di Vanuzzo. Come se la gente, rassegnata, avesse pensato: meglio così che proseguire senza una vera ambizione. Ed è questa, nonostante tutto, la vera bocciatura di Bologna nei confronti della Seconda Repubblica bianconera, quella dell’era Sabatini. Con la conseguenza da lui più temuta: l’indifferenza generalizzata, l’assuefazione alle sue uscite compresa quella che lo vedrebbe per l’ennesima volta fuori dalla società e dal basket. I maligni la respingono, ipotizzando il classico timore di chi decide di nascondersi e invita provocatoriamente ad andarlo a cercare: e se poi non lo fa nessuno, perché non gliene importa più niente? Brutta malattia, la disaffezione.

FRANCO MONTORRO