L’ex cestista statunitense ora svolge il ruolo di scout degli Oklahoma Thunder: «Sarei onorato se Avellino mi chiamasse»

David VanterpoolMIAMI. David Vanterpool, nove anni dopo l’esperienza con Avellino, è un uomo elegante che svolge il ruolo di scout Nba per gli Oklahoma Thunder. È all’ American Airlines Arena di Miami per seguire la sua franchigia che viene sconfitta dagli Heat di LeBron James 1-4 nella serie finale per il titolo Nba dopo una stagione regolare formidabile. Ha il cuore diviso a metà perché lui è nato in Florida a Daytona Beach, non lontano da Miami, e lavora peri Thunder di Scott Brooks. A proposito di sentimenti e di passioni Vanterpool ricorda con grande trasporto l’esperienza alla Scandone allora guidata da Zare Markovski che conquistò la sua terza salvezza consecutiva in serie A. È stato uno di quei giocatori che ad Avellino hanno trovato il loro trampolino per una carriera prestigiosa. Come lui, il bielorusso Meshcheryakov che condusse la squadra alla promozione in serie A nel 2000, gli americani Nolan, Erdmann, Nate Green e poi Devin Smith e Erik Williams che vinsero la Coppa Italia nel 2008 e portarono gli irpini in Eurolega.

Vanterpool, Avellino sembra la piazza ideale per migliorare e avere visibilità in Europa.
«Per noi americani è importante stare bene, essere sereni e sentire il sostegno della gente e Avellino ti dà tutto questo. Ricordo con affetto gli Originai Fans che ci seguivano ovunque e la stessa gente di Avellino sempre cordiale quando m’incontrava sul corso o in piazza Libertà».

Prima di arrivare ad Avellino giocò con Michael Jordan, il più grande di tutti, a Washington poi come arrivò in Italia?
«Ero negli Stati Uniti. Ebbi la possibilità di giocare in Nba con i Wizards dove c’era MJ negli ultimi anni della sua carriera. Era un giocatore fantastico anche se vicino ai 40 e io spesso, avendo lo stesso ruolo, lo affrontavo in allenamento. È stata un’esperienza straordinaria giocare con II miglior cestista del pianeta. Giocai alcuni mesi con loro poi andai a Kansas con i Knights nell’Aba e lì mi scovò nei suoi tour americani l’allora general manager della Scandone, Menotti Sanflippo, che mi portò ad Avellino e mi fece scoprire dai grandi club europei come Siena e dopo il Cska di Mosca».

Segue Avellino, sai che dopo le stagioni dove si puntava alla salvezza sono arrivati i successi: la Coppa Italia e l’approdo in Eurolega?
«Seguo il campionato italiano e seguo naturalmente la Scandone anche perché sono in con-tatto con Markovski che mi ha allenato proprio in Campania. Ho seguito i trionfi e sono contento. Mi tengo aggiornato su internet».

Lei oggi fa lo scout Nba. Avellino non ha ancora ingaggiato il coach. Ha avuto un’esperienza come assistente al CSKA di Mosca. Se la chiamasse il presidente Sampietro?
«Perché no? Dipende, ma sarebbe un’opportunità che valuterei con grande attenzione. Una chiamata da parte di un club italiano mi lusingherebbe molto e poi Avellino è una città che conosco e dove ho diversi amici».

Nella scorsa stagione la squadra si è salvata. La crisi economica si è fatta sentire. Per il futuro potrebbe restare Marques Green. Dean va in Turchia, Johnson ha ambizioni in alto. Che cosa fare?
«Bisogna puntare su giocatori che hanno cuore, che danno tutto in campo come sono stato io e come è Marques Green che conosco per-che veniamo dallo stesso college di St. Bonaventure anche se lui è più giovane di me. Questa deve essere la strategia per il mercato».

Siena, altra sua ex squadra in Italia, ha vinto il sesto scudetto consecutivo con Pianigiani che non sarà più il coach nella prossima stagione sostituito da Luca Banchi. Il ciclo vincente della Montepaschi iniziò proprio quando tu eri in Toscana?
«Era il 2004 e vincemmo il primo scudetto della storia arrivando in semifinale di Eurolega e perdendo dalla Fortitudo Bologna. Io vinsi il titolo di Mvp nella Supercoppa Italiana. Una stagione straordinaria. Pianigiani era l’assistente di Recalcati quando c’ero io. Evidentemente Simone ha voluto chiudere un ciclo mentre Banchi oggi merita di fare il capo allenatore visto che è da sei anni a Siena».

Obiettivi, programmi futuri?
«Continuare a vivere di basket. Vedremo se come manager o coach. Per una sola ragione: I love this game».


di Carmelo Prestisimone - Il Mattino