Sergio Tavčar

Sergio Tavčar

Non si può certo dire che in questo periodo non ci siano argomenti di basket. Liquido subito l’NBA, perché ne parlano tutti, per cui io no. Nel senso che mi interessa pochissimo, guardo qualche spezzone (ho scoperto che cambiando il commento sull’originale ininglese, molto più sobrio e calzante, la cosa permette anche agli sprovveduti come sono io di sapere ad ogni azione chi ha segnato il canestro e chi gli ha passato la palla, che perversamente è l’unica cosa che mi interessa dicano i commentatori, per cui la mia soglia di sopportazione è aumentata esponenzialmente), ma leggendo e guardando in giro e scoprendo quanto l’appassionato medio ne sappia dell’NBA infinitamente più di me, mi sembra stupido e presuntuoso che ne parli.

Prima però di parlare del resto del basket una piccola chiosa su quanto riportato da Franz sulle Final Four di pallamano. La finale l’ho guardata e bisogna dire che a 5 minuti dalla fine l’Amburgo era avanti di quattro gol con un contropiede aperto a disposizione addirittura con l’uomo in meno. Palla scaraventata sul portiere (il che è come sbagliare un rigore a porta vuota) e contro-contropiede per il meno tre del Barcellona che poi, con due uomini in più (l’Amburgo è andato in paranoia) ha agguantato il pari nei regolamentari. A questo punto tutti pensavano che la mazzata per l’Amburgo (partito dalle pre-qualifiche! – tipo il Liverpool, ricordate?) sarebbe stata terribile. E invece i tedeschi non sono per niente tedeschi, il Barcellona aveva in panchina il Cuaresimal di turno, per cui poi è andata come è andata. 

Liquido subito anche le prestazioni della sperimentale a Jesolo. Per carità di patria non parlerò neanche sotto tortura. Dirò invece che una generazione di croati talmente sprovveduta tecnicamente non mi immaginavo mai di poterla vedere neanche negli incubi più angosciosi. Ma dove li hanno pescati? Non esistono più filmati dei campionissimi di soli 20 anni fa? I coach delle giovanili cosa fanno? I croati forse avranno qualche straordinario talento (attenzione però, le stesse cose che dicono oggi dei vari Šarić e Hezonja le dicevano a suo tempo di Komazec, Šundov, Bagarić e ultimo Ukić, per cui andrei con i piedi di piombo – finché non vedo non credo), però la cosa che mi sconvolge è la totale mancanza di scuola cestistica che questa gente palesa. Per non parlare della totalemancanza di comprensione del gioco. Se Smodiš parla così dei giovani sloveni, chissà cosa ne pensa dei suoi giovani connazionali un Čutura, per dire di uno diventato un grande solamente col lavoro e con la testa. Niente da dire, se non da constatare con la morte nel cuore che ora Dražen è veramente morto, che in Croazia non esiste più neanche la memoria storica delle sue leggendarie gesta con conseguente tentativo di emulazione che si sperava potesse farlo vivere per sempre. Come in ogni società civile dovrebbe essere.

Lascio ancora un po’ di suspence prima di parlare del campionato italiano dicendo qualcosa sulla sconvenscion. Allora: io pensavo di farla sabato 22, ma leggo che i due aficionados triestini Enrico e Diego in quella data non possono, per cui andrei su sabato 29. Dite che ne pensate. Anche abbastanza presto per favore, perché il mio esperto di osmice mi avverte che si tratta del periodo più delicato, quando c’è un turnover di aperture e chiusure, per cui bisogna essere precisi per indovinare il luogo migliore (sempre seguendo i suoi impagabili consigli).

Sul campionato italiano avrei molte cose da dire e, sorpresa sorpresa, vado molto controcorrente rispetto a quanto ho letto nelle vostre discussioni. Nel senso che penso che è da moltissimi anni che il campionato italiano non raggiunge simili vertici di interessee, perché no, anche di gioco sensato. Premessa: stiamo parlando del campionato italiano di basket, di un campionato abbastanza scassato e senza soldi, per cui rispetto al passato da noi arrivano stranieri di terza scelta, andando quelli più forti ovviamente dove possono pagarli di più, Turchia, Russia, Spagna, o anche Grecia se non altro per la tradizione. Tralasciando il non trascurabile fatto che l’NBA, con 50mila squadre, assorbe cani e porci da tutti i continenti. Per cui pensare che da noi arrivi un Carroll o un McAdoo(o per quelli vecchi come me un Morse, un Hawes, un Jura, tutti manuali viventi, quando anche in America si giocava ancora a basket, per non parlare di Bill Bradley straniero di Coppa del Simmenthal) è sciocco. Per dire ancora: una volta arrivavano in Italia Ćosić, Dalipagić, Đorđević, Danilović, oggi vengono i vari Ščekić o Šakota, non so se rendo l’idea. Le cose bisogna dunque sempre tenerle nella giusta prospettiva e ragionando così è molto più facile vedere il bicchiere mezzo pieno. Guarda caso in semifinale sono arrivate le quattro squadre che hanno giocato meglio a basket per tutto il campionato (mi scuseranno i tifosi della pur super-extra-meritevolissima Sassari, ma le ragioni per cui penso che Sassari ancora non possa venir inquadrata in questo contesto le ho spiegate in un post precedente) e dunque un basket decente era prevedibile. Secondo me, sempre nel contesto di cui sopra, il basketvisto è stato ottimo, meglio di ogni previsione. E’ da tempo che non guardo i playoff del campionato italiano con tanta attenzione riuscendo soprattutto a seguire le partite capendo quel che succede, il che mi rende partecipe a quanto succede in campo. Diciamo che un coach fa un cambio che per me è sbagliato o almeno discutibile, ma le ragioni per cui lo ha fatto si possono facilmente capire nell’ottica della strategia che ha previsto per la serie o la singola partita, insomma le squadre avevano tutte la loro fisionomia, avevano un capo e una coda, avevano una precisa consapevolezza di quello che volevano fare. Avete presente Milano? Bene, tutto l’opposto. Guardare gli errori dei singoli che sono quello che sono mi sembra ingeneroso e soprattutto molto miope al limite della cecità. Bisogna invece dare il giustissimo merito ai quattro coach che hanno tutti tratto dalle loro squadre risultati nettamente migliori alla somma dei valori tecnici dei loro giocatori (fate sempre il paragone con Milano e capirete quello che voglio dire). Non solo, ma ci sono stati miglioramenti enormi dei singoli durante il campionato, il che significa che hanno lavorato benissimo in palestra. Il caso più eclatante è quello di Lawal che ovviamente, con i mezzi fisici che si ritrova, col cavolo che sarebbe venuto in Italia se solo avesse saputo il colore di una palla di basket. Di tenerla in mano non si parla. Infatti, visto nelle prime partite faceva tanta tenerezza che non riuscivo neppure a ridere delle sue “prodezze”. Ora è uno che sposta in modo incredibile gli equilibri e infatti si parla che sarebbe addirittura richiesto dall’NBA. Ma vi rendete conto? Lawal! Uno che all’inizio quando centrava il ferro sul tiro libero era un trionfoDunston uguale. A proposito, mi è molto dispiaciuto per Varese che non abbia potuto giocarsi le sue chance, che erano enormi, non per niente ha vinto la fase regolare, stante l’indisponibilità dello stesso Dunston e di Polonara nelle partite decisive. Poi magari Siena vinceva lo stesso, però avrei voluto vedere più equità competitiva. In più si sono visti stranieri, soprattutto gli americani, ben integrati nelle varie squadre, tutti a disposizione secondo le loro possibilità del collettivo, nessuno, ma proprio nessuno, con la puzza sotto il naso (del resto, guardando secondo la loro ottica, se sono dovuti venire in Italia per giocare vuol dire, come diciamo a Trieste, che non gli avanza, per cui sanno di dover darsi da fare), non solo, ma quelli di Roma danno l’impressione di essere un vero e proprio gruppo, cementato in modo mirabile, e infatti hanno vinto partite già perse in rimonta mordendo e rosicando per 40 minuti, mai morti. Veramente bravissimi. Mi è piaciuta anche la loro reazione emotiva quando si sono resi conto di aver vinto gara sette contro Cantù: si sono sciolti, si sono messi a giocare divertendosi ed hanno messo dentro una serie incredibile di tiri da metà campo. Come la Jugoslavia ai bei tempi. E solo per avermela ricordata va a loro tutto il mio plauso. E ancora: da quanto tempo non avete visto chegli uomini chiave sono italiani, da Datome a Aradori a Hackett, o come avrebbe potuto essere Polonara o, su un piano leggermente inferiore, De Nicolao o D’Ercole?

Passando a considerazioni di più ampio respiro la cosa che però mi è piaciuta di più è stata la consapevolezza di tutte e quattro le squadre dell’ambito in cui si trovavano e nel quale dovevano fare il massimo con quanto avevano a loro disposizioneVarese e Cantù da questo punto di vista ovviamente non si discutono, essendo realtà che da molto tempo sanno come si fa, essendo fra l’altro guidate societariamente da gente che conosce il basket fino al midollo (a proposito, avete visto l’intervista che ho fatto con Bruno Arrigoni e che è andata in onda nell’ultima puntata di Zona sport? Guardatela, perché dice cose interessantissime soprattutto sui vivai). La vera sorpresa sono state Siena e Roma, ambedue costrette a ridimensionarsi drasticamente, ma nel farlo non si sono piante addosso, ma hanno dato fondo a tutto quanto avevano a disposizione in fatto di know-how riuscendo a creare squadre sane, con un capo e una coda. Forse Roma ha avuto anche un po’ di fortuna, prima nel trovare quel bravissimo coach che è Calvani (ma dove era finora?) e poi nel riuscire a trovare giocatori che hanno miracolosamente creato dal nulla una grande chimica di squadra. E così Roma, dopo aver speso e spanto per anni improvvisamente si ritrova in finale con concrete possibilità di vincere lo scudetto (secondo me sono 50-50) con una squadra che non doveva neanche esserci. Con gente che bivacca davanti ai botteghini per comprare un biglietto per il piccolo Palatiziano (a proposito, altro plauso va all’idea di giocare lì almeno la prima partita: un altro segnale che si vuole vincere e non fare spettacolo). Roba mai vista, almeno negli ultimi anni, in questo secolo sicuramente non ancora. Piccola aggiunta: ieri ho visto garadue di Pistoia-Brescia di Legadue (telecronaca? neanche sotto tortura). Anche lì palazzetto stracolmo, tifo a mille e partita finita punto a punto. Il che vuol dire che c’è anche profondità di movimento con interesse diffuso nei confronti di questo nostro a volte tanto bistrattato sport. E poi dite che è stato un campionato deludente? Quando ad esempio negli ultimi anni la Repubblica ha dedicato tutta una pagina alla presentazione della finale (va be’ che c’è Roma, ma questo semmai è solo un di più)? La Rai ha battuto tutti i record di ascolto per le partite di semifinale con quasi un milione di spettatori fissi. Onestamente proprio non so cosa si potesse volere di più.

Ecco, il problema è questo, che ora qualcuno possa volere di più e possa rifare il classico errore, dal quale sembra che nessuno impari mai qualcosa, di voler fare il passo più lungo della propria gamba. Io almeno spero vivamente che la lezione di quest’anno possa aver servito per capire che la cosa più importante è trovare la propria dimensione e lavorare di conseguenza. Chiaro, se per esempio a Roma il successo di quest’anno porterà più soldi sia da parte degli spettatori che degli sponsor, allora potranno anche pensare di fare un passo in avanti, o anche due. Ma mai più di quelli. Crescere in modo graduale è la cosa più difficile, ma è anche l’unica che paga sul lungo periodo.