Ricevo anch’io le newsletter che coach Dan Peterson produce a ritmo incessante. A proposito, gli sono grato per aver pensato a me ed aver (retroscena) scomodato Boscia a Istanbul perché mi telefonasse e mi mettesse in contatto con lui perché poi potessi averle. Questo per dire che il post di Leo di due volte fa l’avevo letto già un paio di giorni prima e la prima cosa che mi è venuta da pensare è stata ovviamente: “Perché mai se le cose le scrive un famoso giornalista americano tutti sono lì ad ascoltarlo e a pensare a quello che ha detto, mentre se da oltre 20 anni (non 10! – prima semplicemente non avevo il blog) un povero mona di un cronista di una oscura TV Yugo dice esattamente le stesse cose nessuno si degna neppure di defecarlo?”. Poi però onestamente ci ho pensato un po’ di più e mi sono lasciato andare a tutta una serie di considerazioni che poi, come spesso mi succede, sono sconfinate nella filosofia più pura, il che vuol dire che mi sono allargato a dismisura finendo in un inevitabile vicolo cieco che mi ha lasciato però molto turbato. Vorrei ripercorrere con voi quanto mi è venuto in mente e poi mi direte se sto delirando.

Filip Mušnik (scusate se lo scrivo alla “nostrana”, ma quanto dice mi fa supporre che non possa non essere di origine balcanica) dice una cosa molto giusta che è all’origine di tutto, e cioè che la esiziale deriva verso la quale stiamo andando ha le sue origini in un fenomeno molto più vasto che riguarda tutto il nostro vivere, in tutti i campi. Siamo ormai definitivamente e irreversibilmente entrati nell’era digitale, questo è poco ma sicuro. Abbiamo computer e macchine dotate addirittura di intelligenza artificiale (almeno così la chiamano – per me il termine “intelligenza artificiale” è e rimarrà sempre un ossimoro) che ormai hanno preso il sopravvento, come nel più angoscioso romanzo di pessimistica fantascienza. Tutto ormai è numero e statistica e il basket è solo un’infinitesima parte di un fenomeno epocale.

In un contesto del genere è solo normale che i fenomeni della matematica e delle elaborazioni statistiche ci dicano che il modo migliore per fare più punti possibili nel basket sia quello di martellare da tre punti e che dunque il tiro da due dalla media distanza sia in realtà un pessimo tiro perché semplicemente non rende (ricordate il marziano di Llandre? – dove cavolo è finito? – probabilmente sarà uno dei guru di qualche squadra NBA viste le cazzate terribili che sparava). Ora un ragionamento del genere ha ovviamente una sua base, ma ha anche un difetto fondamentale e assolutamente dirimente, che cioè semplifica in modo totalmente banale un intero processo strategico, che è chiaramente quello di ottenere il massimo rendimento possibile, cioè quello di vincere le partite, detto in soldoni, con l’applicazione di tutte le tecniche e tattiche possibili che possano portare al fine desiderato. Dimentica una cosa assolutamente ineludibile, che cioè nel basket i punti vengono assegnati anche in altri modi, due per un tiro entro la linea dei tre punti e uno per ogni tiro libero. Siamo un po’ nella situazione di altri sport, da noi molto poco conosciuti, tipo il football australiano e quello gaelico, nei quali si possono fare punti in vari modi, non solo segnando il gol (nel football gaelico) o mettendo la palla fra i pali centrali (nel football australiano).

In quegli sport lì nessuno si intestardisce a voler segnare a tutti i costi in ogni azione il massimo dei punti possibili, ma si accontenta anche di ripiegare su un bottino minore quando la situazione lo richiede. Fanno cioè quello che sembra assolutamente normale si dovrebbe sempre fare: variare le situazioni di gioco per sfruttare in ogni occasione il massimo che l’avversario ci concede in quella determinata situazione. Cosa che dovrebbe essere assolutamente normale anche nel basket. Nel quale fra l’altro un tiro da sotto vale due terzi dei punti che vengono dati per una prodezza balistica da otto metri, un bottino secondo me molto, ma molto surdimensionato rispetto alla difficoltà dell’azione in sé. Se cioè io segno da sotto il 100% (cosa che dovrebbe essere normale per ogni essere che fa del basket la propria molto profumatamente pagata professione – ricordate quando sentite che uno ha segnato un tiro difficile da 20cm: da 20cm ogni tiro è facile per un essere umano dotato di due mani con pollice opponibile, basta allenarsi e avere il minimo talento richiesto per sapere dove ci si trova – se li segnavo io possono farlo tutti), poniamo, 10 tiri, per battere il bottino raccolto da me l’altra squadra deve mettere 7 tiri da 3 su 10, il che non è proprio semplice e soprattutto è una cosa che va e che viene, anche nella stessa partita. Mentre segnare da sotto, giocando bene, lo si può sempre fare, indipendentemente dal fatto se in quel momento i tiri da lontano entrano o meno. Per non menzionare ovviamente i tiri liberi: guardavo l’altra sera Venezia contro Sassari: se solo avesse segnato l’80% dei liberi assegnati (neanche tutti dunque) sarebbe arrivata nel finale in perfetta parità e avrebbe potuto vincere. Peccato che a proprio nessuno sia venuto in mente di notarlo.

Dunque che si vincano le partite con il tiro da tre è una balla colossale, frutto di una brutale semplificazione statistica che con quello che succede veramente in campo nulla ha a che vedere. Diciamo così: forse una partita, avendo avuto le visioni di tutte le Madonne che ci sono al mondo, si può anche vincerla, i campionati mai. Il tiro da tre era stato introdotto come arma tattica ed è diventato nel tempo un’arma strategica. Fin qui tutto bene: segnare con continuità da lontano, lo insegnava a suo tempo già la grande Jugoslavia, aiuta sempre, e molto, ma sempre in un contesto di gioco armonico che in ogni momento preveda la miglior soluzione possibile.  

Il problema è dunque che le cose sono molto più complesse e portarle ad una brutale semplificazione per cui in definitiva una partita di basket è una gara di tiro da tre significa ridurre il tutto ad una mera dimensione statistica (la quale, si sa, è la massima espressione della bugia) tralasciando tutto il resto che è l’unica cosa veramente importante. E’ evidentemente un segno dei tempi che il fattore umano sia relegato in un cantuccio insignificante, mentre è in realtà il fulcro attorno a cui si muove tutto. Ho scritto milioni di volte che il basket è un gioco di squadra, squadra formata da cinque individui della razza umana, persone con le loro doti e difetti, con le loro capacità e lacune, che devono convivere (anche se magari in privato non si sopportano) con l’obiettivo unico e imprescindibile di rendere magari meglio di quanto lascerebbe prevedere la somma algebrica delle capacità di ciascuno. Per riuscire in questo intento l’unico modo è di massimizzare la dote fondamentale che ha fatto sì che un essere abbastanza insignificante dal punto di vista delle capacità fisiche quale l’homo sapiens sia riuscito a dominare il mondo sottomettendo ogni altra specie animale, e cioè l’intelligenza. Che di artificiale non ha proprio niente, visto che la sua caratteristica basilare è quella di sapere prevedere in un attimo il futuro prossimo che sta per accadere, processando in un nanosecondo una serie infinita di dati che riesce miracolosamente a correlare a fatti già vissuti per trovare in un attimo la soluzione più giusta per l’occasione. E in tutto questo processo non c’è niente di statistico, è qualcosa di più che chiamiamo istinto, capacità di lettura, che possiamo avere solo noi esseri umani. E’ questa l’arma più formidabile che possediamo ed è questa che dobbiamo curare, fare in modo che si esprima in pieno perché ci dia il vantaggio assolutamente decisivo sull’avversario, quello di saper pensare prima e meglio e dunque eseguire meglio, ma soprattutto di eseguire la cosa ogni volta giusta per la situazione contingente.

In definitiva, al netto dei paroloni, bisogna saper giocare a basket, come bisogna saper suonare uno strumento o manovrare al meglio un utensile. In ognuna di queste attività la tecnica deve essere allenata in modo tale che diventi quasi un riflesso condizionato, perché solo se non ci si pensa ci si può concentrare meglio su quanto dobbiamo realmente fare, interpretare al meglio un pezzo musicale, o insufflare un tocco di arte in un manufatto artigianale.

Quanto detto mi sembra un’affermazione difficilmente confutabile, ma sembra che in effetti, o non è vera, cosa di cui ampiamente dubito, oppure semplicemente non viene presa in considerazione per ragioni che mi sfuggono. L’unica spiegazione che trovo per la mancanza abissale di conoscenze tecniche delle nuove generazioni potrebbe essere il fatto che sono semplicemente spariti gli istruttori oppure che ormai, in quest’epoca superficiale dominata dalle macchine e nella quale pensare è essere sovversivi, fuori da ogni mainstream, tutto si svolga in superficie secondo la logica dell’interesse immediato, del mordi e fuggi, tanto chi se ne frega. Intanto faccio i soldi e poi li spendo. Perché imparare se in effetti tutto quello che ho da fare è segnare da oltre l’arco, visto che è quello che i n(m)erd dicono che bisogna fare?

Pensando a quanto appena scritto mi è venuta in mente una cosa che ho notato durante l’ultima finestra delle partite della nazionale e che mi rafforza nell’opinione che i quadri tecnici che ci sono in Italia per l’educazione delle nuove leve siano di un livello non basso, ma negativo, se capite cosa voglio dire. Non so chi abbia in mano il settore di base per allevare i nuovi istruttori e che corsi facciano, ma qualsiasi cosa fanno, sarebbe ora che virassero di 180 gradi e cominciassero ad insegnare basket e non antibasket. Guardavo infatti il ragazzo Spagnolo, uno che è andato al Real, dunque via dall’Italia. E infatti lui, incredibilmente, gioca a basket. Ha tecnica, ma soprattutto, e la cosa mi ha estasiato, quando ha la palla guarda il canestro, come ogni giocatore normale di basket dovrebbe fare per prima cosa. E normalmente fa la cosa giusta. Chiaro è ancora giovane, inesperto, ma a uno bravo si perdonano volentieri gli errori fatti per presunzione, basta che la presunzione sia quella di fare la cosa giusta. E guardavo anche Michele Vitali che ora gioca in Germania. Assurdo, sembra uno a cui abbiano trapiantato il cervello. In pochi mesi è diventato un vero giocatore di basket. Ma dov’era prima, di grazia? Perché non è riuscito a diventarlo almeno una decina di anni fa? Forse perché ha fatto tutta la carriera in Italia? By the way, perché uno come Polonara per esprimersi è dovuto anche lui emigrare in Spagna? E sembra che anche faccia bene, in una Lega che è incomparabilmente più forte di quella italiana. Finisco il discorso con un paragone: Melli e Pascolo, carriere diverse, sorti totalmente diverse, per due giocatori che in partenza avevano esattamente lo stesso potenziale. C’entra qualcosa dove hanno giocato e chi li ha allenati? E Ale Gentile, qualcuno sa dove sia?

L’altro giorno, durante una lunga chiacchierata al telefono con l’amico Andrej Vremec, che tutti quelli che frequentate le sconvenscion conoscete benissimo, siamo venuti a parlare del modo con cui vengono reclutati gli stranieri che giocano nelle squadre italiane. Ci sono procuratori che impacchettano con il fiocco un filmatino nel quale il loro protetto fa bella figura, ci aggiungono le statistiche del giocatore che vogliono piazzare, statistiche che ovviamente non vogliono dire totalmente niente se non si conosce il contesto nel quale sono maturate, e poi c’e’ sempre un Presidente che ci cade come un pero e lo prende a scatola chiusa. Anche qui segno dei tempi: macchine e statistiche. Valutazione della persona zero, non ha importanza. Mi sono chiesto divertito quanto durerei io se qualcuno mi volesse prendere come direttore sportivo. Probabilmente il colloquio di assunzione durerebbe qualcosa come una decina di minuti al massimo. Quando arriverei alla mia condizione sine qua non per accettare il posto, e cioè quella che per prendere un giocatore vorrei vederlo almeno una decina di volte in incognito in una partita vera e solo dopo deciderei se vale la pena di prenderlo, sarei brutalmente messo alla porta. Scherzate? Il signore vorrebbe viaggiare a nostre spese solo per vedere un giocatore? Che poi magari prenderei il giocatore giusto e scarterei quelli finti con statistiche roboanti questo è totalmente irrilevante.