Duelli di ieri, cortesie di oggi

“Georgia accolse il rivale del figlio sulla porta di casa con un abbraccio, lo fece entrare e gli offrì limonata, tè freddo e un pranzo fatto in casa la cui preparazione andava avanti da una settimana. Quando Bird arrivò finalmente a casa e strinse freddamente la mano di Johnson, sua madre stava riempiendo il suo piatto con la sua specialità: pollo fritto, purè di patate, piselli e pannocchie”. Larry Bird e Magic Johnson, o meglio Larry Bird contro Magic Johnson: il duello che ha incendiato l’NBA negli anni Ottanta trasformando il basket dei “pro” americani in un fenomeno mondiale, la sfida eterna (perché ancora oggi sa animare le discussioni di tifosi e appassionati ormai negli “anta”) sulla quale sono stati scritti fiumi di inchiostro e alla quale solo i due diretti interessati potevano aggiungere un nuovo, spumeggiante torrente di aneddoti (quello in apertura riguarda la “gita” di Johnson a casa di Bird il 12 settembre 1985 per girare uno storico spot pubblicitario perla Converse), racconti in presa diretta e riflessioni capaci di andare ben oltre il parquet.

La copertina del libro di MacMullan

Se non l’avete già letto, fatelo prima dei prossimi playoff (che può essere una scadenza come tante altre, ma che in questo contesto ha più senso di altre): pubblicato negli Usa nel 2009, “Il basket eravamo noi” è uscito l’anno scorso in Italia per Dalai Editore (430 pagine, € 22) ed è stato appunto scritto a quattro mani dai due leggendari campioni con la complicità tutta femminile della competentissima Jackie MacMullan, prima giornalista a ricevere il prestigioso Curt Gowdy Media Award dalla “Basketball Hall of Fame”. Poi, una volta che ve lo siete divorato, nei giorni di sconforto per il plastificato basket del XXI secolo potete aprirlo a caso e rileggerete sempre qualcosa che vi emozionerà, qualcosa sempre all’insegna di un dualismo che all’epoca coinvolgeva davvero tutti: dai compagni di squadra ai giornalisti dell’una e dell’altra costa, dai tifosi ai magazzinieri delle due squadre e ai facchini dell’aeroporto di Los Angeles come della stazione ferroviaria di Boston… per finire con chi di Celtics e Lakers nemmeno era fan.

Bianchini e Peterson oggi

E in Italia? In quei cestisticamente davvero favolosi anni Ottanta non si contavano i duelli in campo, ma a surriscaldare gli animi e le pagine dei giornali (rigorosamente cartacei) era la sfida tanto tattica quanto dialettica che si svolgeva a bordo parquet tra due fuoriclasse della panchina: il “milanese” Dan Peterson e il prima “canturino” e poi “romano” Valerio Bianchini. Due modi di concepire il basket e la vita così diversi da essere antagonisticamente complementari proprio come Bird e Magic; due filosofie che non perdevano occasione per incrociare le armi anche lontano dalla palla a due, contribuendo così alla promozione della pallacanestro nel nostro Paese – fatte le debite proporzioni – proprio come i due assi d’oltreoceano stavano contribuendo al successo dell’Nba nel mondo. Ed eccoci al punto: in un Campionato sempre più privo di bandiere, in cui i giocatori passano da una squadra alla sua storica avversaria magari addirittura nella stessa stagione, sono i coach l’unico elemento di continuità, gli unici potenziali duellanti. Peccato che – per scuola di formazione tatticamente preparatissimi, per studi scolastici dialetticamente ancora più attrezzati dei loro predecessori – i giovani allenatori di casa nostra non siano propriamente dei cultori di una (sempre e comunque civile) disfida verbale: prima dei match, per non dire dopo nelle sempre meno incandescenti sale-stampa, è tutto un elogiare l’avversario e complimentarsi l’un l’altro; al massimo ce la si prende con gli arbitri, che tanto ci sono abituati. Parliamo di tutto, ma stiamo ben attenti a lanciare sfide che poi magari ci tocca pure raccogliere…

Tornando al pranzo servito a Magic dalla mamma di Bird, come ci piacerebbe che alle Final Eight di Torino insieme con la gustosa ma alla lunga stucchevole dolcezza dei gianduiotti ci venisse servito anche un po’ di sano e piccante peperoncino: così, giusto per aver qualcosa di cui parlare magari non solo da giovedì a domenica.

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