Se Parigi è chiamata comunemente la “città delle luci”, sicuramente Granada potrà essere conosciuta nel mondo, oltre che per la splendida Alhambra ed il melting pot arabeggiante che la contraddistingue, anche per essere “la città dei semafori”. Semafori ovunque, ogni poche decine di metri, ad alimentare un traffico che nelle ore di punta raggiunge livelli simili a quello delle nostre metropoli.
Granada è stata scelta come una delle sedi del mondiale, forte di una struttura di ottimo livello come il Palacio Municipal de Deportes, e di una location assolutamente suggestiva, culla storica di un mondo arabo tanto tormentato in quest’ultimo periodo. In questo senso si è probabilmente persa una grossa occasione di rendere questo mondiale un evento di portata universale, e di sfruttare in particolare la presenza di due squadre del mondo islamico come Iran ed Egitto. In città non è stato organizzato alcun evento collaterale, nessuna fan zone o evento promozionale, e di fatto girando per le splendide vie dell’Albaicín o lungo il Paseo de los Tristes non si aveva certo l’impressione di essere in una delle città sede del campionato del mondo di pallacanestro, per giunta quella dove giocano i favoritissimi padroni di casa.
L’organizzazione della FEB tuttavia è stata di buon livello, sia per quanto riguarda l’allestimento del palazzo dello sport che per quanto concerne la gestione delle attività dei media e degli spazi. Poche le pecche in questo senso, in primis la mancanza di un servizio navetta per tutti gli addetti ai lavori con il centro città, imprescindibile vista la posizione decentrata dell’impianto rispetto alla maggior parte dei luoghi di interesse. In secondo luogo la bassa qualità del servizio di catering e ristorazione, con cibi preconfezionati da distributore automatico. Infine la musica, sparata a volume altissimo nel pre-partita e nei tempi morti, usando una limitata lista di canzoni blindata dalla famosa radio spagnola “Los Cuarenta”.
Tutti erano a conoscenza del fatto che il girone A presentasse due cenerentole destinate a fungere da sparring partner per le 4 regine, meno preventivabile invece il fatto che la Spagna assumesse il ruolo dello schiacciasassi anche contro alcune delle pretendenti ai quarti, se non alla zona medaglie. Per questo motivo solo gli scontri diretti tra Brasile, Francia e Serbia sono stati equilibrati, di fatto togliendo pathos ed interesse alla competizione.
Capitolo a parte meritava la sfida tra Egitto ed Iran, vinta meritatamente dagli asiatici dopo una sfida intensa e abbastanza equilibrata. L’Egitto sunnita e l’Iran sciita, due modi simili ma allo stesso tempo diversi di vivere ed intendere il proprio credo. Per due ore è stato bello vedere le divergenze che al momento stanno insanguinando il Nord Africa ed il medio oriente, dipanate grazie alla pallacanestro.
Proprio l’Iran insieme alle Filippine è probabilmente la squadra di culto del mondiale, per il corollario di storie e personaggi che circondano la squadra. In primis il presidente federale, amico di Mahmud Ahmadinejad e possessore di cittadinanza americana – i misteri della diplomazia. La lega iraniana poi è un calderone di particolarità assortite, con forti ingerenze della politica e plenipotenziari a volte disposti a spendere ingaggi consistenti per profughi dal basket che conta come Francisco Elson o Nikoloz Tskitishivili, tali da meritare un approfondimento. Dulcis in fundo pare che il governo abbia mandato degli emissari travestiti da operatori video per controllare l’operato di giornalisti ed entourage della squadra e riportare immediatamente comportamenti sospetti in patria.
Punto negativo sicuramente il livello degli arbitraggi, un passo indietro rispetto allo scorso europeo in Slovenia, con diverse terne non all’altezza del livello fisico e tecnico arbitrato. A stupire è anche il rendimento del nostro Guerrino Cerebuch, che in terra spagnola chiude una carriera internazionale meritatamente carica di successi e soddisfazioni. Per lui un brutto errore durante Francia-Serbia, costatogli la sospensione per un turno.
Approcciandoci alla fase ad eliminazione diretta il girone di Granada ci conferma la solidità di un Brasile potenzialmente da podio, grazie alla stazza, al talento e all’esperienza del roster in mano a Magnano. Difficile invece riuscire ad esprimere un parere esaustivo sulla Serbia di Djordjevic, alla disperata ricerca di continuità e di leadership e di un assetto tattico affidabile. In questo senso il quintetto con Markovic e Teodosic contemporaneamente in campo sembra dare maggiori garanzie su entrambi i lati del campo, a cui si aggiungono la versatilità di Bjelica e la stazza di Raduljica. La Francia di Collet ha talento fisico ed atletico per arrivare molto avanti, ma manca di un risolutore continuo e di qualità sugli esterni, anche se la crescita di Fournier nelle ultime due partite lascia ben sperare.
La Spagna ha dominato tutte le partite del girone A, con una dimostrazione di forza impressionante e priva di apparenti punti deboli. Rodriguez, Llull, Rubio, Marc Gasol, Ibaka e Calderon all’apice della carriera, i vecchi leoni Navarro e Pau Gasol tirati a lucido, più Claver, Abrines e Reyes- giocatori che in molte altre nazionali sarebbero titolari – ad allungare le rotazioni. Quanto visto a Granada fa seriamente pensare che questa irripetibile versione della Spagna sia forse anche più forte di quelle del 2008 e del 2012 e che si tratti della più forte squadra europea dai tempi della grande Jugoslavia unita.