Con la postseason che sta per iniziare, i Denver Nuggets si presentano al momento più importante dell’anno come una delle squadre più accreditate ad Ovest. Impressionante è l’aggettivo che viene in mente nel descrivere la stagione di questa squadra, capace di vincere ben 15 partite consecutive nel mese di Marzo, e ben 21 consecutive (con la W di ieri notte contro gli Spurs) fra le mura casalinghe del Pepsi Center, che continua a incutere molta paura alle “contenders” in vista dei playoffs.

Siamo di fronte a un’annata storica per la franchigia, nonostante George Karl sia costretto a fare a meno di Danilo Gallinari per tutto il resto della stagione a causa di un infortunio al ginocchio di cui DailyBasket ha parlato in un altro Focus dedicato (potete trovarlo a questo link), e di Ty Lawson, ancora in dubbio per le prossime gare. La botta subita con l’infortunio di Gallinari è una di quelle che possono far male a chiunque, e certamente Denver risentirà più dell’assenza del nostro connazionale rispetto a quando sono venuti a mancare altri elementi importanti della squadra. Ma la grandezza di questi Nuggets sta nell’aver costruito una chimica di squadra che non prescinde dal singolo, ma dal gruppo, forte e compatto come pochi nella NBA di oggi.

(Fonte: ESPN)

Una grandezza raggiunta in particolar modo grazie al lavoro fantastico di coach George Karl, un allenatore che ha girato il mondo, e che non ha mai ottenuto quella vittoria (leggasi anello) che consacrerebbe definitivamente la sua carriera (ma, direte voi, non non abbiamo bisogno di un anello per farlo). Il “giovanotto” della Pennsylvania è infatti già nell’olimpo dei coach NBA, da Hall of Fame, ed è solo il settimo ad aver superato la soglia delle 1000 vittorie in carriera (Rick Adelman è diventato l’ottavo nella vittoria dei suoi T’Wolves contro i Pistons di qualche giorno fa).

E’ questa l’ottava stagione completa di Karl sul pino della squadra del Colorado, e come tutte le altre anche quest’anno la posteseason è una certezza. Secondi nella Northwest Division solo a causa della presenza dei Thunder, la stagione che sta per concludersi ha visto finora 54 vittorie, totale raggiunto dai Nuggets soltanto nel 2008-09, anno dell’unica finale di conference disputata e persa contro i Lakers, con una squadra che contava molto sul talento di Carmelo Anthony, e che sembra anni luce diversa da questa, dove tutti ricoprono un ruolo fondamentale, e non esiste alcuna prima donna.

La carriera di George Karl dice tutto: ha conosciuto soltanto 4 stagioni “perdenti” e, come avrete capito e di certo saprete se frequentate queste pagine, siamo di fronte ad una carriera vissuta attraverso emozioni incredibili, con le sue fortune che cominciarono a crescere grazie ai Seattle SuperSonics di Gary Payton e Shawn Kemp fra i tanti. Una finale NBA nel 1996, 3 partecipazioni come allenatore della Western Conference all’All Star Game e un immenso rispetto nei suoi confronti diventato ormai comune in tutti gli addetti ai lavori NBA. 55, 63, 57, 64, 57 e 61 sono le vittorie ottenute nelle 5 stagioni di Karl nello stato di Washington, un ruolino pazzesco che ha fatto dei Sonics la potenza assoluta nella Western Conference degli anni ’90.

Karl con Payton e Kemp (Fonte: NW Sports Beat)

Anche i Milwaukee Bucks, allenati a cavallo dei due decenni, videro le proprie quotazioni crescere vertiginosamente durante la “cura” Karl, che li portò quasi regolarmente ai playoffs (in 4 delle 5 stagioni da head coach). L’esperienza e l’apprezzamento per il lavoro dell’attuale coach dei Nuggets viene concretizzato nell’avventura da head coach di Team USA ai mondiali casalinghi del 2002. Ecco, a Indianapolis il sesto posto non era contemplato e viene considerata la peggiore prestazione di sempre dell’ormai ex Dream Team.

Una botta clamorosa come poche, ma mai come quella del 2005, con la diagnosi di tumore alla prostata, seguito da un altro annuncio shock, datato 2010 durante la conferenza stampa dell’All Star Game di Dallas (il suo quarto da head coach), di essere nuovamente affetto da tumore, questa volta al collo e alla gola. Settimane di trattamento non gli hanno impedito di sedersi sulla panchina, notevolmente dimagrito, nel primo turno di playoffs di quell’anno, perso contro gli Utah Jazz.

E non certo si è fermato nella lotta contro il cancro, diagnosticato anche al figlio Coby, che ha giocato seppur marginalmente anche nei Lakers, affetto da un problema alla tiroide. Non si è fermato, perché la sua fondazione, aperta nel marzo 2012, organizza eventi per raccogliere fondi a favore della ricerca contro questa tremenda malattia. Il suo impegno è, dunque, non solo quello fantastico e spettacolare dei suoi Nuggets sui campi NBA, ma anche fuori, con i problemi “reali” che trascendono le rivalità e lo sport.

Denver Nuggets v Los Angeles Lakers

Karl con il figlio Coby durante i playoffs del 2010 (Fonte: Sports Illustrated)

La sua permanenza nella Mile High City è contrassegnata da questi eventi, e possiamo considerarci fortunati di poter parlare di una guarigione che ci permette di vedere ancora all’opera uno dei più grandi allenatori di sempre. Con una squadra tutta da scoprire anche nei playoffs, dove i Denver Nuggets saranno la squadra che nessuno vorrà incontrare. Ci sarà da divertirsi.