MIAMI HEAT (15-9): Luci  e ombre negli ultimi quindici giorni targati Heat: la prestigiosa vittoria contro Cleveland (però priva di LeBron), poi tre sconfitte in fila contro Washington, Charlotte e Indiana, infine, le tre W con Memphis, Atlanta e Brooklyn.

Andamento altalenante sintomo di una squadra che ha notevole potenziale, e il record lo testimonia, ma che, ancora, non ha trovato quella continuità da “grandissima”. Le ragioni non stanno nelle tasche di nessuno, ma si possono azzardare due o tre ipotesi: i vecchietti che tirano la carretta (e che bel tirare) ogni tanto devono tirare il fiato e centellinare le energie, soprattutto Wade; la panchina, che non è malaccio (buon momento di Gerald Green) non ha sempre impatto; Dragic, che sembrava in ripresa, continua, invece, a stentare.

Si ha la sensazione che, di queste possibili lacune, sia proprio quest’ultima a pesare maggiormente. Se lo sloveno dovesse tornare se stesso al 100%, dettando ritmi e soluzioni, questi Heat potrebbero davvero fare un ulteriore step in avanti e diventare molto pericolosi. La base di partenza, d’altronde, è già più che buona.

 

CHARLOTTE HORNETS (15-10): Continua decisa la crescita degli Charlotte Hornets. I calabroni hanno cambiato marcia e si godono, finalmente, i piani alti della Conference.

Risultati figli di un gioco che migliora di partita in partita e che ha permesso di fare vittime illustri. Nelle ultime due settimane, infatti, per mano di Walker e compagni sono caduti Bulls, Pistons, Heat, Grizzlies e Raptors. Con le uniche macchie delle sconfitte contro Boston e Orlando. Tutto sommato, un dazio accettabile.

Sugli scudi, più che mai, il solito Kemba Walker (punti, vivacità e assist a profusione) e un grandissimo Nicolas Batum, confermatosi uomo in forma straordinaria e dalla tripla doppia sempre in canna. Una presenza a tutto campo fondamentale, visto che Al Jefferson manca ancora e la sua assenza debba essere mitigata anche con l’aiuto degli esterni, nonostante Zeller, Kaminsky e Hawes abbiano infilato buone prestazioni.

Da sottolineare, infine, l’ormai immancabile apporto della panchina, Lamb e Lin (35 stanotte contro Toronto) su tutti.

 

ORLANDO MAGIC (14-11): E Orlando rimane lì, aggrappata al treno playoff pronta a dare battaglia. Il record piace, la squadra convince e, tutto sommato, porta a casa le sue soddisfazioni. Viste le premesse e gli obbiettivi dichiarati in estate, la nave viaggia più spedita del previsto.

Dopo la scorpacciata di vittorie tra fine novembre e inizio dicembre (5 consecutive), sono arrivate le battute d’arresto contro Clippers, Cavaliers e Suns, controbilanciate dai bei successi con Nuggets, Nets e Charlotte.

Questi Magic, comunque, sembrano andare nella giusta direzione. I cambiamenti in corsa voluti da Skiles – Oladipo da sesto uomo, Frye e Payton in quintetto – continuano a funzionare e, in effetti, la squadra sembra più bilanciata e coesa. Non si dipende più solo dalla vena realizzativa di Oladipo o Fournier (leggermente in calo). E, non a caso, nelle ultime settimane hanno brillato uomini di sostanza ed eclettismo: Vucevic, Payton e Harris. In più, traspare una sempre più spiccata propensione per un vero “gioco di squadra”, tra repentina circolazione di palla e costante ricerca del tiratore libero. Di sti tempi, una ricetta niente male.

 

ATLANTA HAWKS (15-12): Il record di poco superiore al 50% parla chiaro: qualcosa in casa Hawks non va. Una mediocrità inattesa e difficilmente pronosticabile.

Nelle ultime sei gare, tre sconfitte (Miami, San Antonio e Oklahoma City) e altrettante vittorie, tra cui, però, quelle con Philadelphia e Lakers: poco più che passeggiate.

La difesa si conferma sugli standard stagionali, lasciando agli avversari un centinaio di punti, ma l’attacco è calato sensibilmente: dai quasi 103 punti di novembre ai 95.7 di dicembre. Un’involuzione determinante e preoccupante, anche perché, in sostanza, il quintetto è sempre lo stesso.

Kyle Korver è quello che appare in maggiore difficoltà. Brutto vedergli sbagliare molte conclusioni, anche ad alta percentuale e, per lui, “automatiche”. 33% da tre e 34% dal campo: numeri che stridono con la sua storia e il suo talento.

Speriamo per la franchigia della Georgia che lo straordinario Millsap di questi tempi – lui sì che non è mai in ombra – riesca a trascinare i compagni fuori da questa piccola crisi.

 

WASHINGTON WIZARDS (10-14): La faccia attapiratissima di John Wall, ormai una costante, rischia di essere l’immagine simbolo di questa stagione dei capitolini. Emblematica, sintomatica. Testimonianza di come nemmeno il #2 riesca a spiegarsi il perché di questo momento, sia personale che della squadra.

Incostanti, impalpabili, molli. E’ da inizio anno che a questi Wizs manca un’identità, e le ultime due settimane non hanno di certo invertito l’inerzia: vittoria con Miami, sconfitte con Rockets e Pelicans (non due corazzate), risveglio contro Dallas e nuove cadute con Memphis e Spurs.

Il tutto concedendo una marea di punti (con 106 punti presi a partita, una delle peggiori difese della Lega) e affidandosi quasi esclusivamente a Wall che, come detto, non è in un momento d’oro. Anche perché non ci sono molte alternative, visto che Beal è tornato ai box e continua a essere croce e delizia e il resto della truppa è ondivago a dir poco.

Cambiare rotta non sarà facile, soprattutto con l’infermeria sempre indaffarata, ma la sensazione è che il problema sia molto più profondo.