5. BRIVIDI AD ALTA QUOTA

Azione vista, rivista, stravista. Dieci, cento, mille, diecimila volte. Ma assume ogni volta una tale spettacolarità impossibile da ignorare. Anche perché i due interpreti sono maestri in quel che fanno. Tempismo, misure e fantasia. Tutto è sempre maledettamente perfetto.

Chris Paul e DeAndre Jordan si sono esibiti di nuovo nel loro formidabile alley-oop. Con i Sixers a fare da sparring partner

Come detto, l’azione la conosciamo ormai benissimo: Paul la alza in qualsiasi modo nel pitturato, il suo centrone la prende tra le nuvole e la catapulta nella retina.

A sto giro, è CP3 a variare sul tema, inventandosi un assist no look dopo finta di passaggio dietro la schiena. Un trucchetto utile il giusto, ma di sicuro impatto per il pubblico.

C’è chi, però, per una volta, ha toccato quote più alte del duo dei Clippers. Gustatevi la connection Rubio-LaVine, cercando di concentrarvi sulla prodezza del campione delle schiacciate in carica. Arriva in cielo.

 

4. PHILA BATTE DUE COLPI

Una vittoria sola nelle prime trentuno di stagione. Poi, due successi nella stessa settimana.

Non me ne vogliano i tifosi di Philly, ma rischia di essere il picco più alto dell’annata dei 76ers. Dunque, va degnamente celebrato.

Ironia a parte, sembra che qualcosina (ma “-ina, -ina” proprio)  sia migliorata in Pennsylvania. Sarà stato l’arrivo di Mike D’Antoni, sarà il ritorno di Ish Smith (che ha avuto, almeno a cifre, un ottimo impatto).

Il 26 dicembre il 111-104 sui Suns, in grossa difficoltà, con i 22 di Canaan, i 16 di Landry e addirittura i 17 di Stauskas. Poi, il 30, il bis a casa dei Kings di un Marco Belinelli da 28 punti. Con un Nerlens Noel ritrovato e uno Smith con le tasche piene di assist.

Visti i tempi, sono piccole ma preziose soddisfazioni.

 

3. SPRAZZI DI GIALLOVIOLA CHE FU

Philly ancora protagonista, questa volta in negativo. Ci voleva una squadra particolarmente deficitaria, infatti, per permettere ai Lakers – proprio loro! – di fare addirittura showtime.

Ed è vero che i gialloviola sono in un discreto momento, ma raramente possono concedersi momenti di divismo.

Nick Young, D’Angelo Russell e Julius Randle i protagonisti della grande ripartenza losangelina. Swaggy ripulisce il possesso e azzecca un passaggio (strano non abbia tirato anche da li) di 15 metri per l’ex Ohio State che, di tocco e dietro la schiena, pesca un Randle puntuale e smarcatissimo. Il risultato è una semplice inchiodata a due mani.

Ignorando la non irreprensibile transizione difensiva avversaria, una gran bella giocata. Peccato che questa versione dei Lakers confezioni un’azione così efficace, e spettacolare allo stesso tempo, solo una volta ogni cinquanta partite (se non di più).

 

2. L’ONORE DELLE ARMI

Il vero avversario va sempre rispettato. Lo si combatte con tutte le proprie forze, ma con onore e stima.

Il duello Kobe-Celtics ha scritto pagine importanti della storia recente della NBA. Battaglie favorevoli alcune volte al Mamba e ai Lakers, altre ai verdi. Una rivalità spesso piccata e malcelata, tanto che si parla di vero e proprio odio dei tifosi Irish per il leader gialloviola.

Per questo, c’era molta attesa per l’ultima volta di Kobe nella “tana del nemico”, il TD Garden.

Come detto, però, quando lo scontro è tra duellanti onorevoli, la stima reciproca ha sempre il sopravvento. L’accoglienza della Boston cestistica è stata trionfale (sì, qualche fischio c’è stato, ma era la stragrande minoranza): Kobe osannato, applaudito, incitato e stretto in un forte abbraccio. E lui che ricambia alla sua maniera: doppia-doppia, tripla che mette in ghiaccio il risultato e performance da Bryant che fu.

Il commiato ufficiale ha voluto che al #24 fosse consegnata una targa celebrativa con tanto di omaggio di un pezzo di parquet; il saluto del pubblico, invece, più spontaneo e verace, si è concretizzato nei cori “Kobe, Kobe” e nelle tante ovazioni.

Un grande esempio di sportività.

 

1. INCORNATA FINALE

Quando hai una sola occasione per vincere, perché il tempo non ti concederà altro, devi dare il massimo, sperando che tutto vada come sperato e pianificato.

Così è stato per i Bulls nella sfida con i Pacers, decisa allo scadere da un canestro di Jimmy Butler sulla sirena.

Non una prodezza individuale figlia di una giocata istintiva ed estemporanea, ma il perfetto coronamento di un eccellente schema disegnato da coach Hoiberg e il suo staff. E, ovviamente, eseguito poi con altrettanta dovizia dagli interpreti in campo.

Nella fattispecie, McDermott, Gasol e Butler. Il catalano si muove e riceve in punta, mentre Jimmy taglia verso canestro. Pau lo vede e lo serve con un assist di talentuosa precisione e qualità, lasciando a JB il solo onere, e onore, di appoggiare nella rete.

Un, due, tre: semplice, pulito, efficace. Almeno per gente di quel calibro.