Il Basket tra crisi e futuro

Nel 2008, da Pechino, Gianni Petrucci accolse la mozione di sfiducia montante dall’interno del Consiglio Federale nei confronti del presidente Fausto Maifredi, commissariando di fatto la Fip che poi nel febbraio 2009 si radunò esaltata intorno al nome di Dino Meneghin. Purtroppo la gestione del mito è stata di una ordinaria, disperata amministrazione quando l’intero movimento conosceva il suo peggiore stato di collabenza, termine che identifica lo stato di quelle unità immobiliari non redditizie. Quindi, ruderi, fabbricati inagibili, a rischio crollo. Così è diventata la pallacanestro italiana, in un processo continuo dal 2004 ad oggi, data coincidente con il momento di massimo splendore fittizio della nostra Nazionale, argento ad Atene.

Nulla accade per caso e all’improvviso, perché i fasti dei club e della squadra azzurra nei sette anni di vacche grasse dal 1997 al 2004 rappresentarono con grottesca concomitanza l’ultimo raccolto fertile della pallacanestro italiana in concomitanza con una mancata semina in tutti i settori vitali. Non è solo una questione di mancanza di giocatori italiani – con la “beffa” dei tre fra i tanti della NBA, perché il ruolo di comprimari di Bargnani, Belinelli e Gallinari non andrebbe sottaciuto – ma anche di miseri o errati investimenti nel campo della comunicazione, dell’impostazione e della gestione dei campionati. Sono scomparsi in buona parte lo spirito propulsivo, la volontà di (r)innovare ed è clamorosamente fallito qualsiasi tentativo di unione di intenti, non tanto e non solo fra la Fip e le leghe, ma anche all’interno degli organi di rappresentanza dei singoli campionati. Guardate a cosa si sta riducendo la Lega di Serie A: ad una società di rappresentanza e per il disbrigo delle faccende ordinarie. Un bel salto indietro rispetto alle ambizioni di traino del movimento, per come la concepiva e la voleva gestire Enrico Prandi. Osteggiato dai club, che negli ultimi anni hanno solo e sempre di più spinto per le proprie autonomie. Risultato? Una Lega finalmente compatta al motto di “Ognun per sé”. Così, ogni primavera, da diverso tempo, ci ripetiamo che siamo all’anno zero e invece forse siamo già al segno meno e se pensiamo che i temi caldi, al momento, sono le faide interne e le ripicche della classe arbitrale e la creazione di nuovi campionati inferiori con nomi da carta di credito (Golden e Silver) ci rendiamo ulteriormente conto dello spreco di tempo e di energie. Tornerà Gianni Petrucci alla guida della Fip. La stima che ho per l’uomo e per il politico mi conforta, ma ho il timore che alla grande esperienza dell’attuale Numero 1 del Coni manchi la consapevolezza di come si sia ridotta la pallacanestro italiana mentre lui era in tutt’altre faccende affaccendato. Non è più il basket del 1999, quando lasciò Via Vitorchiano per il Foro Italico. C’è il rischio che il pur accorto Petrucci perda tempo ad accorgersene. Una speranza è allora qualcuno lavori per lui nell’ombra. Niente di illegale o di misterioso, basta solo che da subito siano chiare le alleanze per un’elezione scontata. Perché, vedete, c’è anche la disgrazia – capirete per chi – del ridotto numero di consiglieri federali ed allora, sapete come saranno impiegati i mesi che passeranno fino alle votazioni? Con un fitto scambio di corrispondenze fra i caporioni delle regioni più importanti, cioè con il maggior numero di delegati, che non sono poi più di quattro o cinque. Da subito Petrucci dovrebbe incaricare uno o più uomini di sua fiducia che badino a queste trattative e che lo facciano in fretta, perché il grosso del lavoro è altro e assai più importante degli scambi di poltrona fra capoluogo regionale e Roma, come ad esempio si sussurra si stia trattando in Emilia Romagna. E’ un lavoro nell’immediato, per il futuro o la nostra pallacanestro diventerà in larga parte zona non più edificabile.

FRANCO MONTORRO