20140302_154425La canotta numero cinque svetta sul tetto dell’Unipol Arena vicino a quella di Roberto Brunamonti e a quella di Renato Villalta. Nessun giocatore della Virtus potrà mai più indossare quella maglia, un onore riservato solamente a chi ha lasciato un segno indelebile nella memoria di tutti i tifosi virtussini.

Sasha Danilovic, con la solita franchezza, ha voluto esternare la propria soddisfazione: “Speravo che ci fosse tutta questa gente, abbiamo fatto tante cose belle insieme e mi fa molto piacere vedere il Palazzo pieno. E’ un onore vedere la mia maglia ritirata”.

Inevitabile ripercorrere alcuni momenti della sua carriera: “Il ricordo più bello? I trofei, in particolare lo scudetto del ’98 con il tiro da 4 e l’Eurolega. Nel 2000 ho capito che era giusto smettere, e non mi sbagliavo perché dopo aver annunciato il mio ritiro mi sono tolto un grande peso dalle spalle. Penso che uno dovrebbe smettere quando è ancora in forma. Volevo essere ricordato come un giocatore bravo. Non ho mai avuto il rimpianto di aver smesso, quando ero un professionista non mi sono praticamente mai fermato tra club e Nazionale e la stanchezza accumulata mi ha spinto a ritirarmi. Se nel 1997 non mi avesse richiamato la Virtus sarei rimasto in NBA. Sono tornato perché mi hanno pagato bene, perché sono sempre rimasto in contatto con Brunamonti e perché non mi è mai piaciuto molto lo stile di vita americano, nonostante l’NBA abbia la migliore organizzazione del mondo. Sono tornato qua e ho fatto bene”.

In Europa ha vestito solamente le canotte del Partizan Belgrado e della Virtus Bologna, i due club e le due città che sono nel suo cuore: “Quando sono a Belgrado e quando sono a Bologna sento le stesse sensazioni, mi sento a casa. La Virtus fa benissimo a celebrare i grandi campioni del passato e dovrebbero farlo anche tutti gli altri club che hanno storia, però devo ammettere che quando parlo della Virtus non sono molto obbiettivo, è una squadra speciale per me e la seguirei anche se giocasse in serie C”.

Sono passati quattordici anni dal suo ritiro e tante cose sono cambiate da allora: “La pallacanestro di oggi è diversa rispetto alla mia. Ogni epoca ha i suoi eroi. Non posso dire che oggi sia meglio o peggio, semplicemente è diverso. Ci sono tanti giocatori europei in NBA che non giocherebbero in Eurolega, ora è più facile andare di là rispetto a quando ci sono andato io. La generazione d’oro dell’ex Jugoslavia è finita? Ci sono vari giovani talenti serbi che hanno sbagliato decidendo di andare troppo presto all’estero in club che li hanno subito chiesto di vincere. Oggi molti talenti sono rovinati dai certi procuratori e genitori che non hanno più pazienza e vogliono tutto subito”.

Oggi il suo presente è a Belgrado nel ruolo di presidente del Partizan: “Nel Partizan i giovani talenti serbi non scappano, si sentono come in famiglia, sanno che quando andranno via saranno molto più forti di quando sono arrivati e oggi abbiamo anche giovani francesi molto interessanti”.