Il Presidente Vescovi ed i famigliari di Giancarlo Gualco davanti alla targa in suo onore (foto di pallacanestrovarese.it)

Il Presidente Vescovi ed i famigliari di Giancarlo Gualco davanti alla targa in suo onore (foto di pallacanestrovarese.it)

Ci sono muri che bisbigliano, quando ci passi vicino. Ci sono fotografie dinamiche, che travalicano il bianco e nero e ti risucchiano nei ricordi che rappresentano. Ci sono luoghi che trasudano storia ed il PalaWhirpool è uno di questi, se la storia è quella del gioco più bello del mondo. Da oggi, il Tempio del basket varesino si è arricchito di un cimelio prezioso che ricorderà ai viandanti cestistici che ne attraverseranno i corridoi chi era Giancarlo Gualco, il manager che ha reso grande la Pallacanestro Varese nella sua epoca più fulgida. Dopo i funerali che hanno commosso non solo tanti compagni di strada – tra ex giocatori, colleghi ed amici – ma anche quella parte di città che ha sempre respirato pallacanestro, una cerimonia semplice, intima ma sentita ha accompagnato l’intitolazione della sala conferenze ad un personaggio che da qualche giorno non è più fisicamente in questo mondo. La moglie Marisa, i figli Rossana e Maurizio, Sandro Galleani, il presidente Vescovi: tutti riuniti per rendere doveroso omaggio a colui che contribuì a regalare, con il suo lavoro paziente e la sua professionalità, da giocatore ma soprattutto da dirigente, scudetti, coppe e gloria, nonchè imperitura memoria di uno “squadrone” irripetibile. Che anni, quegli anni: dieci finali di Coppa dei Campioni consecutive, scudetti conquistati in epiche battaglie nel “triangolo lombardo” con Milano e Cantù, il nome Ignis (e poi Mobilgirgi) in alto negli albi d’oro come mai prima e mai dopo; anni di personaggi del calibro di Meneghin, Ossola, Morse, Raga, Nikolic, Messina, Gamba. Giancarlo Gualco è stato deus ex machina di quella società vincente, attore protagonista sul mercato e nella gestione dei giocatori, collante indispensabile in trionfi che avevano solide fondamenta anche lontano dai parquet dominati. Ed è allora bello, naturale, per nulla retorico abbandonarsi ai ricordi: quelli privati dei famigliari, che rimembrano un Gualco che viveva la pallacanestro a 360 gradi, anche fra le mura domestiche; quelli di Sandro Galleani che parla di amore ed “odio” nei confronti di una personalità immanente ed all’antica, di quelle che non si “fabbricano” più, restia a fidarsi degli altri se non dopo autentico esame di fiducia, seria ma amabile, vittima consapevole e bonaria di quella “banda degli scherzi” che sapeva essere irresistibile anche fuori dal campo; ci sono, infine, quelli dello storico segretario/factotum Augusto Ossola che, ammantato di quella commozione che solo tante primavere sulle spalle sanno dare quando ci si volta indietro, ricorda anche i travagli di Gualco, nel momento in cui la “grandeur” degli anni mitici fu sul punto di finire, impegnato nel  tentativo di dare seguito alla Storia anche senza la munifica famiglia Borghi.

Ci piace pensare che, fin da domenica prossima, ci sarà qualcuno – tra americani con la valigia in mano, allenatori affermati e non, dirigenti o giornalisti di passaggio – che volgerà un pensiero, magari solo sotto forma di semplice domanda, a quel passato da non scordare, fatto di passione e trionfi, a quel passato da cui tutti veniamo e torniamo, davanti ad una targa con un nome ed un cognome.