Aspettando l’attesissimo blog, ormai in fase di ultimazione, proponiamo anche questa settimana i contributi dell’Ultima Legione in questa forma.
Ecco l’Accampamento Alleato, dove si ritrovano nobili e valorosi guerrieri che ancora hanno il coraggio dell’ultima sfida. Averli al proprio fianco è il massimo orgoglio dell’Ultima Legione.

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L’ARTIGLIO DELL’ORSO – di OSCAR ELENI

Giorgio Armani con Livio Proli

da: Indiscreto

Voti con polvere dorata.

10 A Davidino ANDERSEN perché quando si presentò a Siena con il suo cane per far capire che quella sarebbe stata l’ultima tappa nella vita dorata di campione randagio ci eravamo messi a ridere. Milano e Cantù hanno scoperto che il riso abbonda sulla bocca deli stupidi.

10 bis Al Giorgio ARMANI impassibile davanti alle decisioni degli arbitri nella semifinale con Siena. All’ingegner CREMASCOLI che riusciva a tenere dentro la grande delusione arrossendo di rabbia, ma senza aprire bocca. Stile.

9 A Simone PIANIGIANI perché ancora prima di sapere come finirà questa stagione dove può fare scorta miele per una vita possiamo testimoniare che ha fatto un capolavoro senza bronzi di Riace, senza marmi sopraffini, facendo diventare squadra quella che sembrava nata per esserlo meno. Omaggio a lui e alla sua quadriglia tecnica cominciando dal Banchi di sopra. Omaggio alla squadra che accompagna mediaticamente Siena  aiutando tutti, non escludendo nessuno.

8 A MELLI e GENTILE che ci hanno detto molto di più  di quello che aspettavamo perché  in certe situazioni è difficile mettere il becco fuori dalla cesta.

7 Al Marco BONAMICO presidente di una Lega due in estinzione che non si arrende e ci fa pensare che forse sarebbe il caso di promuoverlo già sul campo.

6 A Manfredo FUCILE, anima campana, e all’ex presidente MAIFREDI, perché dove ci sono loro almeno vedi fermento, senti parlare di basket. Peccato non aver visto anche Mattioli a cui dovremmo chiedere scusa per averlo criticato senza valutare bene i dirigenti che ci sono adesso.

5 Alla LEGA che dovrebbe ben sapere cosa accade nel povero Perse quando si parla di La7 digitale. A Moncalieri non si vedeva.

4 Alla MUSICA che dovrebbe farci armonizzare con lo spettacolo sportivo perché ci uccide, ci costringe a  mettere le odiose cuffie che adesso fanno diventare ridicoli questi campioini dello sport alla ricerca della concentrazione dentro se stessi,  mai sfiorati dall’idea che sarebbe interessante anche sentire la voce, la tensione dello spogliatoio, del compagno.

3   Al MENEGHIN assente arrivato in città soltanto per sentire gli arbitri beccarsi, per animare una libreria  con i suoi splendidi aneddoti e per  rianimare la vendita del libro che ha scritto Vanetti.

2 Al PETRUCCI Ugolino che davanti alla disperata obiezione di chi considera  autocanestro velenoso questo far uscire Meneghin dai ranghi federali ci ha risposto che in un anno un altro personaggio si trova. Della stessa dimensione internazionale? Solo Recalcati lo può avvicinare, per gli altri viaggio nel nulla.

1 A FACCHINI e SAHIN due degli arbitri che stimiamo di più perché hanno voluto lasciare un’impronta troppo evidente sulle semifinali.

0  Alla NOSTRA ILLUSIONE:  pensiamo sempre che dove mangiamo noi fragole e panna si divertano anche gli altri che invece amano la carne e il pescado. Colpa dell’età e per questo chiediamo scusa a tutte le generazioni di giornalisti che ci vorrebbero a villa Arzilla.

OVERTIME – di ANGELO COSTA

Ettore Messina

da: Il Resto del Carlino

IL BELLO di Ettore Messina è di non esser mai banale: si può condividere o no ciò che dice, ma la riflessione emerge sempre. Una delle ultime è su Marco Belinelli, il meno considerato del trio italiano in Nba: «Lo conosco poco, ma lo ammiro tanto: invece di tornare in Europa per monetizzare la sua esperienza americana, ha scelto la strada più difficile, restando in America per guadagnarsi spazio». E’ una buona chiave di lettura, oltre che un messaggio istruttivo, per i giovani e anche per chi li allena: è un invito a riconoscere il sacrificio e a rendergli il giusto merito.
Dall’America continua a piovere l’intrigante storia di Jeremy Lin, cinese a stelle strisce sbucato dal nulla e diventato in pochi giorni la star della Nba. Con lui New York si è rimessa in piedi, grazie a lui D’Antoni ha salvato la panchina: sarà anche stata una botta di fondoschiena inventarsi come salvatore un laureato di Harvard, ma il vecchio Michelino ci ha messo anche del suo. Non si è limitato a incassare la buona sorte, ma l’ha alimentata: vinta la prima partita con Lin, ha insistito su di lui, anziché limitarsi a ringraziarlo e a rimetterlo in fondo alla panchina. Un atto di coraggio: degnamente ripagato.
Di questo coraggio, ce ne sarebbe bisogno anche in Italia, dove non mancano gli allenatori che sui colpi di fortuna non sempre sono pronti a investire: purtroppo, capita spesso di vedere un giovane far grandi cose in una partita, per talento e non per caso, e in quella successiva restare a guardare. Significa non riconoscere il merito e, di conseguenza, non saper cogliere un’opportunità. E’ un’infallibile ricetta: per togliere fiducia.
p.s. Nel basket dove chi chiama le cose col loro nome passa per disfattista, dove si inghiottisce ogni segnale di crisi con indifferenza, si tratti della chiusura di una rivista o del concreto rischio che un club non finisca la stagione, dove i Cinciarini vengono paragonati ai piloti collaudatori come Badoer dimenticando che poi arrivano i Fisichella, si registrano questi dati: primo giorno di Final Eight in Spagna con 17 mila presenti al Palau Sant Jordi di Barcellona e un’audience da 500 mila spettatori, primo giorno di Final Eight in Italia con 4.500 anime al PalaOlimpico e un’audience da torneo di boccette a notte fonda. Farsi delle domande: eventualmente, darsi delle risposte.

La frase della settimana. «La mia Olimpia non riesce a fare un vero salto di qualità» (Giorgio Armani, patron di Milano, si candida a premio Nobel per la pazienza).