Nel febbraio del 1967 una cordata di uomini di affari della Louisiana decise di portare per la prima volta nella storia un team professionistico nella città più affascinante dello stato, creando i New Orleans Buccaneers che, sin dal primo anno, divennero uno dei punti di riferimento della lega. Il roster rispondeva ai dettami di coach James “Babe” McCarthy, allenatore per 10 anni della Mississippi State University, guidata anche alla prima apparizione di sempre in una “Sweet 16”, e conosciuto come “Old Magnolia Mouth” per la sua marcata pronuncia del Mississippi e per alcuni suoi modi di dire coloriti (“Boy, I gotta tell you, you gotta come out at ‘em like a bitin’ sow“, “Now, let’s cloud up and rain all over ‘em“). Un roster ricco di talento che aveva come punta di diamante Doug Moe, un’ala formatasi a UNC, coinvolta negli anni ’60 in alcuni scandali collegiali riguardo a partite truccate che gli impedirono l’accesso alla NBA. Moe, vedendo chiusa la possibilità di giocare come professionista, lavorò come assicuratore, svolse gli obblighi di leva e approdò in Italia giocando due stagioni alla Petrarca Padova guidandola al 3° posto in classifica, miglior piazzamento di sempre per la squadra veneta nella massima serie. Al primo anno coi Bucs, Moe segnò oltre 24 punti di media (2° marcatore ABA alle spalle di Hawkins) aggiungendo 10 rimbalzi, risultando fondamentale anche per la sua intelligenza e versatilità sui due lati del campo. Fu subito affiancato da un suo caro amico sin dai tempi del college, tale Larry Brown, disprezzato e non considerato dalla NBA per il suo fisico minuto e la sua altezza modesta (poco meno di 1.75m). Nella ABA, Brown invece ebbe un ruolo importante grazie alla sua superba visione di gioco tanto che prese anche parte al primo All Star Game della lega al fianco di Moe, venendone eletto MVP, e chiudendo poi una grande annata come leader nella categoria degli assist con 6.5 a partita. Al fianco dei due Tar Heels, Austin “Red” Robbins, rookie da Tennessee, centro sempre in doppia doppia e miglior rimbalzista di squadra con oltre 12 a partita e Jimmy Jones, guardia con tanti punti nelle mani (chiuse con 19 e 5 rimbalzi) e preso dai Bucs nonostante la chiamata dei Bullets. L’anno si chiuse con 48W, che valsero il primo posto nella Western Division. Con il vantaggio del fattore campo, riuscirono ad avere la meglio prima sui Rockets, poi agilmente sui Chaparrals, approdando così alla prima finale ABA della storia, ma di fronte alla miglior squadra della lega, i Pittsburgh Pipers, i Bucs sprecarono il match point in gara-6 alla Loyola Field House di New Orleans, perdendo poi in gara-7 per 122-113.
Dopo un’annata chiusa ad un passo dal successo finale la dirigenza decise sorprendentemente di rompere gli equilibri e la chimica formatasi cedendo sia Moe che Brown agli Oakland Oaks in cambio di Steve Jones e Ron Franz. Jimmy e Steve conosciuti come i “Jones boys” resero il backcourt dei Bucs ancor più pericoloso: Jimmy venne dirottato come playmaker e divenne leader di New Orleans con 27 punti, 6 rimbalzi e 6 assist di media, mentre Steve si concentrò sulle due fasi di gioco e contribuì con 20 punti e 5 rimbalzi di media. Grazie ad una striscia di 13 successi in fila nel mese di marzo, le vittorie a fine stagione furono 46 e il secondo posto ad ovest fu garantito. Purtroppo, dopo una sofferta battaglia contro i Chaparrals vinta in 7 gare e nonostante un Jimmy Jones incontenibile da oltre 30 punti, 5 rimbalzi e 5 assist, il cammino dei Bucs si infranse in finale divisionale con un netto 4-0 subito dagli Oakland Oaks, proprio quegli Oaks a cui avevano ceduto Moe e Brown.
Nell’estate del 1969 i Bucs cercarono di rendere più completo il roster agli ordini di McCarthy firmando il tiratore Harley “Skeeter” Swift. L’inizio fu dei più promettenti con il record che a metà dicembre era più che positivo (21W-9L). Ron Franz fu però chiamato a partire per l’esercito e nonostante l’impatto di Gerald Govan che ne prese il posto in quintetto diventando fondamentale per rimbalzi, stoppate e intensità difensiva, anche con il serio infortunio al ginocchio di Swift, la situazione dei Bucs si complicò ulteriormente sia dentro che fuori dal rettangolo di gioco, dove con lo spostamento delle partite interne al piccolo e poco accogliente Tulane Gymnasium il pubblico calò vistosamente. Il record fu un equilibrato 42W-42L grazie alla solita produzione dei “Jones boys” e al lavoro sporco di Robbins, ma non fu utile per qualificarsi ai playoff nella competitiva Western Division.
“La storia dei Buccaneers” continua sabato 27 dicembre, ore 10:00
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Indice “DailyBasket Focus – ABA History”
Puntata 1 – La nascita e i primi passi
Puntata 2 – Tra difficoltà economiche e la fine delle ostilità
Puntata 3 – Pipers, dal successo all’anonimato (1^parte)
Puntata 4 – Pipers, dal successo all’anonimato (2^parte)
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