Nella primavera del 1967 la ABA assegnò un team alla città di Houston e la cordata texana con a capo T.C. Morrow scelse il nome Mavericks. La situazione però non fu subito tra le più rosee, infatti come coach e general manager fu scelto Slater Martin, 5 volte campione NBA con la maglia dei Lakers e degli Hawks, che si recò ad Oakland per il primo draft della lega, ma quando arrivò a destinazione scoprì che la dirigenza non aveva ancora depositato i 30 mila dollari per poterne prendere parte e venne escluso dal meeting. Solo molte ore più tardi con l’arrivo dei soldi da Houston, Martin potè scegliere i primi giocatori, ma il draft era già giunto al 5° giro e il talento medio era di secondo piano. I più degni di nota erano l’ala Arthur Becker, che divenne la guida in campo dei Mavericks con 19 punti e 9 rimbalzi di media, ben coadiuvato dalla point guard con un breve trascorso ai Bullets, Willie Somerset, miglior marcatore e assistman di squadra (21.7 punti e 3.7 assist). Nel complesso però il roster peccava di estro nella fase di costruzione del gioco e Morrow non era propenso ad investire molti soldi nemmeno a stagione inoltrata. Senza nessuna vera e propria star il pubblico latitava, a mala pena si superavano le 500 persone di media alle partite interne al Sam Houston Coliseum e la stagione si concluse con sole 29W e ben 49L, raggiungendo ugualmente i playoff grazie al 4°posto ad ovest, utile però per subire un netto sweep dai Chaparrals, nonostante un Somerset immarcabile da oltre 30 punti e 8 rimbalzi di media.
Le cose non migliorano neppure l’anno seguente e Martin lasciò il timone dopo un inizio poco brillante, sostituito in corsa da Jim Weaver. Somerset ebbe un’altra stagione superlativa con ben 23.5 punti segnati di media, venendo invitato anche all’All Star Game, ma pochi giorni dopo aver disputato la partita delle stelle fu inserito in una trade a New York in cambio della guardia Bob Verga, appena tornato dagli impegni militari. Verga divenne rapidamente il miglior marcatore dei Mavericks con 24.7 punti e il 45% al tiro, affiancato da Stew Johnson power forward presa dai Nets, molto concreto nei pressi dell’area con 20.6 punti e 8.1 rimbalzi. Purtroppo la situazione dirigenziale divenne sempre più critica, Morrow era in continua perdita e abbandonò la proprietà, con la lega che per prevenire un imminente fallimento, prese in mano la direzione della franchigia. Fortunatamente una cordata composta da uomini di affari del North Carolina con a capo James Carson Gardner, molto attivo in politica e più volte candidato come governatore dello stato, decise nel gennaio del 1969 di acquistare i Mavericks e spostarli nel proprio stato alla fine della stagione. Si arrivò così in aprile per l’ultima casalinga contro New York davanti ad appena 89 spettatori paganti, chiudendo un’altra mesta stagione da appena 23W a fronte di ben 55L e annesso ultimo posto ad ovest.
Dal giugno del 1969 i Mavericks cessarono di esistere e nacquero i Carolina Cougars che, non avendo alcuna enorme area metropolitana, decisero di suddividere le partite interne tra Greensboro, Charlotte e Raleigh, divenendo la prima franchigia professionistica “regional”. Il pubblico rispose entusiasta, nelle partite interne si toccarono i 6000 spettatori sugli spalti anche grazie ad alcune mosse intelligenti della nuova dirigenza, come la firma di giocatori con trascorsi collegiali nel North Carolina, come Doug Moe prelevato dagli Oaks sacrificando Stew Johnson, o come il giovane Gene Littles, point guard scelta da una piccola università alla periferia di Greensboro. Verga si impose nettamente come il miglior realizzatore di squadra toccando i 27.5 punti segnati a serata, in aggiunta a 5.2 rimbalzi e 3.5 assist grazie a cui fu incluso nel 1° quintetto ABA, venendo anche invitato all’All Star Game assieme a Moe (17.3 punti e miglior assistman di squadra con 5.3 a partita) che divenne fondamentale anche nella propria metà campo, rendendo la difesa dei Cougars la migliore della lega. Il merito ovviamente fu anche del nuovo head coach Bones McKinney, allenatore già visto brevemente in NBA ai Capitols e con più successo a Wake Forest, noto per alcuni atteggiamenti coloriti in panchina, tra il dimenarsi sofferente nei momenti di difficoltà della squadra e il saltare in estasi nei momenti positivi. Per la prima volta nella storia della franchigia il record raggiunto non fu negativo (42W-42L), ma l’impatto con la post-season fu ancora una volta traumatico, visto il netto 4-0 subito dai Pacers nonostante un Verga sempre prolifico (27 punti con il 47% al tiro).
Ai Cougars serviva un pizzico di talento in più, soprattutto nella metà campo offensiva e fu così che nell’autunno del 1970 fu firmato Joe Caldwell, ala piccola con 6 anni di esperienza in NBA tra Detroit Pistons e Atlanta Hawks, che divenne subito il punto di riferimento sia in attacco (23.3 punti, 6.8 rimbalzi e 4.2 assist) che in difesa, vista la sua rapidità sulle linee di passaggio. Caldwell era noto come “Jumping Joe” per le sue doti atletiche, era sempre sopra al ferro ed era in grado di spaziare difensivamente tra giocatori più possenti a più agili guardie, senza mai andare sotto e con l’arrivo della guardia George Lehmann dai Floridians, che diede un buon contributo in cabina di regia e in fase di creazione del gioco (17 punti e quasi 6 assist), le aspirazioni dei Cougars crebbero rapidamente. Purtroppo con la partenza di un uomo fondamentale sui due lati del campo come Moe, direzione Virginia Squires, la squadra del Carolina tornò a soffrire subendo ben 50 sconfitte a fronte di sole 34 vittorie, con annesso ultimo posto ad est. Certamente l’arrivo di un nuovo proprietario come Teddy Munchak disposto ad investire lasciava presagire a un futuro ben più roseo, ma anche nella stagione 1971-72 la situazione dei Cougars fu alquanto complicata. Il rookie Jim McDaniels prese subito in mano il pallino del gioco con 26.8 punti e 14 rimbalzi di media, ma il centro da Western Kentucky attirò subito le attenzioni della NBA, abbandonando la franchigia del North Carolina nel febbraio del 1972 dopo appena 58 partite, visti i falliti tentativi di rinegoziare il suo contratto, accasandosi ai SuperSonics. La produzione offensiva della squadra rimase tutta sulle spalle di Larry Miller, guardia ex Tar Heel presa dagli Stars e autore anche di 67 punti contro i Memphis Pros nel marzo del 1972 (ABA record) e di Joe Caldwell, anche se quest’ultimo fu costretto ai box da un serio infortunio al ginocchio in primavera che ne limitò molto il fatturato nel prosieguo della carriera.
Per il secondo anno in fila fu fallito l’approdo ai playoff ma il giovane GM Carl Scheer mise in piedi alcuni movimenti di mercato che diedero la scossa definitiva ai Cougars: prima la firma di Billy Cunningham, 29enne ala piccola formatasi alla University of North Carolina (in cui è tutt’ora leader all-time come doppie doppie), campione NBA nel 1967 con la casacca dei 76ers, 4 volte All-Star, dalle doti sublimi come attaccante, rapido ad arrivare al ferro, lottatore a rimbalzo nonostante l’altezza inferiore ai 2 metri e ottimo come visione di gioco e altruismo, come sottolineato anche da John Havlicek suo rivale storico dei Celtics: “tutte le volte che Billy vuole prendersi un tiro, ci riesce, è così agile e atletico che è impossibile da marcare e cosa più importante gioca per la squadra e passa divinamente il pallone”. Oltre al “Kangaroo kid” arrivò anche Mack Calvin, guardia dalla grande rapidità e importante in cabina di regia, preso dal dispersal draft dei Floridians, fino alla firma di Larry Brown e Doug Moe non come giocatori ma come allenatori, i più giovani della lega ad appena 30 anni. La squadra sotto i dettami del nuovo coaching staff implementò una difesa ancor più asfissiante, un attacco incentrato sulla coralità e sull’aprire il campo e sin dalla preseason attirò un numero crescente di spettatori, con il pubblico che nelle sfide interne incrementò del 40% rispetto all’anno precedente (apice toccato nella sfida ai Colonels con 14.126 persone accorse in quel di Greensboro). La Eastern Division fu dominata sin dall’inizio della regular season e le vittorie finali furono ben 57, miglior record della lega, in una stagione in cui furono riscritti ben 30 record di franchigia, tra cui il numero di W consecutive (11), il numero di W consecutive casalinghe (15) e fuori casa (6). Non è tutto, infatti i Cougars fecero anche incetta di premi di stagione con Cunningham (miglior marcatore, rimbalzista e assistman di squadra con 24.1 punti, 12 rimbalzi e 6.3 assist) eletto MVP, Larry Brown nominato coach dell’anno e Carl Scheer come executive, facendo crescere a dismisura le aspettative per la post-season. Il 1° turno playoff fu agilmente passato vincendo 4-1 sui Nets, salvo poi cedere contro i Colonels di Dan Issel e Artis Gilmore dopo essere stati in vantaggio 3-2 nella serie, perdendo anche gara-7 in casa per 107-96, nonostante il contributo da 23.5 punti, 11.8 rimbalzi e 5.1 assist di Cunningham, aiutato in più circostanze a contenere i lunghi di Kentucky dal centro Tom Owens.
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Indice “DailyBasket Focus – ABA History”
Puntata 1 – La nascita e i primi passi
Puntata 2 – Tra difficoltà economiche e la fine delle ostilità
Puntata 3 – Pipers, dal successo all’anonimato (1^parte)
Puntata 4 – Pipers, dal successo all’anonimato (2^parte)
Puntata 5 – Buccaneers, i primi anni positivi a New Orleans (1^parte)
Puntata 6 – Buccaneers, l’addio alla Louisiana e l’approdo a Memphis (2^parte)
Puntata 7 – Buccaneers, dagli anni disastrosi dei Memphis Tams fino all’epilogo (3^parte)
Puntata 8 – Oaks, dall’ingaggio di Barry alla scoperta di Jabali fino all’abbandono della California (1^parte)
Puntata 9 – Oaks, gli anni dei Virginia Squires tra Charlie Scott, Julius Erving e George Gervin (2^parte)
Puntata 10 – Muskies, l’anno a Minneapolis e l’approdo a Miami come Floridians (1^parte)
Puntata 11 – Floridians, gli anni di coach Bass, di Calvin, Jones e Jabali (2^parte)
Puntata 12 – Conquistadors, da coach K.C. Jones all’ingaggio di Wilt Chamberlain (1^parte)
Puntata 13 – Conquistadors, l’addio a Chamberlain e l’inizio del declino dei nuovi Sails (2^parte)
Puntata 14 – Amigos, l’anno deludente ad Anaheim e la nascita dei gloriosi Stars di Bill Sharman (1^parte)
Puntata 15 – Stars, i primi ruggenti anni ’70 con le battaglie ai Pacers fino alla bancarotta (2^parte)
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